mercoledì 31 ottobre 2012

Mamma

     


                    Mi chiamo Ettore e sono un figlio di puttana, già nel nome mio tenevo come una specie di predestinazione, ecco.

          Sono tutto sommato un bravocristo è che mamma mia è proprio una puttana. Non ha mai fatto la puttana, no. E' proprio una puttana, e ci ha sputtanato a tutta l'infanzia nostra e non solo.

          Faccio 'ste profonde riflessioni mentre mi guardo il cellulare che lampeggia e vibra e mi viene incontro come fosse un epilettico in attesa d'essere abbracciato da qualcuno ma invece che la bava alla bocca quello tiene scritto da sopra al display MAMMA perciò m'agguanto all'epilettico co' tutta la rabbia in corpo e rispondo e sudo prima ancora di sentire la puttana che mi dice:
     "Tesoro, come stai?" Stavo giustappunto pensando a come hai provato a fottermi più volte la vita mia cara mammina...
    "Ciao mamma, non chiamarmi tesoro e vieni al dunque, sai, sono piuttosto impegnato, la gente solitamente lavora..."
    "Ecco, villano come sempre..." Pausa lunghissima, carica di tutto il finto amore del mondo, con ripetute e ravvicinate tirate di naso, dolci risucchi commossi li definirebbe chi non la conoscesse, ovvero tutto il mondo, questo e pure gli altri mondi sconosciuti se ce ne stanno, tranne me Giuliana e Al, i miei due fratellastri, per non parlare di Tano, Luca Alberto Maria e Alastair, i nostri padri, due dei quali impossibilitati a testimoniare poiché da tempo cavalcano le verdi praterie.
     "...cerchi sempre di ferirmi, Dio mio, sempre. Non ci sentiamo da quanto? Tre settimane forse, e mi dici che hai da fare..." Adesso ho proprio sentito tipo un singhiozzo, come un bimbo che sta per esplodere in un pianto che è un misto di rabbia e commozione e impotenza, ma la puttana è potente, assai...
     "...insomma, sto venendo da te..." Cristo e la di lui madre e molte altre divinità dei cieli o degli alberi o di ogni luogo, Manitù, dove stai ciuccio che voli, non è possibile, no, no, no. Non voglio che vieni, non sei gradita, non ti sopporto, ho troppo da fare, non ho tempo per riesumare i fantasmi, quindi interrompo la puttana, almeno ci provo...
     "Ascolta, mamma, sono trop..." I singhiozzi ora lasciano spazio al gelido vento dell'artico, il ghiaccio puro, quello blu, quello che brucia arriva all'improvviso e mi butta dentro all'orecchio i ricordi surgelati...
     "Taci!...Credi d'esser poi tanto migliore di me?... Io ti ho protetto, tu hai ucciso il tuo patrigno, non io! E io l'amavo! Non costringermi a dire cose che ben sai e che proprio non vorrei, oh, ma dico, perché, eh? Perché con te va sempre a finire così? Perché? Comunque, domani sono da te, arrivo col volo delle 11, sarebbe carino trovarti ad aspettarmi invece di costringermi a prendere il solito taxi, ci vediamo domani, ciao tesoro".

         Cazzo.

         Getto il telefono contro il muro ed esplode in mille pezzi ognuno è un lapillo di fuoco che alto nel cielo scongela i ricordi ghiacciati che ora non sono più blu ma d'un bianco accecante e si sciolgono e le lacrime sgorgano incontrollate e tremo, a cinquantanni, come un bambino, come il bambino che ho smesso d'essere all'improvviso quando Luca Alberto Maria, quella grande merda, stava sopra a Giuliana, mia sorella di quattro anni, che piangeva, sussultava, mi guardava, i suoi enormi occhi nocciola, più belli e innocenti di quelli di Bambi, erano fissi sui miei e cercavano il mio aiuto, lo esigevano, quegli occhi volevano che li salvassi, volevano essere chiusi, chiedevano di essere portati altrove, e io rimasi immobile, avrebbero potuto chiedermi di pagare l'imu per quanto ero immobile, incantato a guardare il conte Luca Alberto Maria, che s'approffitava del corpo della mia sorellastra, e non feci niente, rimasi a guardare fino a quando il conte non ebbe finito, e si voltò e mi guardò e mi dette un pugno, un pugno violentissimo, in pieno volto, e piansi sangue, e il conte andò via dalla stanza come avesse appena sorseggiato quel suo cazzo di tè del pomeriggio, e l'umiliazione più grande il tenero abbraccio di Giuliana che si diceva dispiaciuta, che piangeva non per sé ma per me, e poi lo dissi alla puttana, glielo dissi da solo, alla puttana, e la puttana mi dette una sberla, e chiamò Giuliana, e chiese a Giuliana conferma di ciò che le avevo appena raccontato, e Giuliana negò, e la puttana mi colpì di nuovo e mi portò nello studio del conte merda che si beve il tè e disse quel che avevo inventato, e sottolineò, la puttana, quell'inventato con tutti gli evidenziatori viola della terra, e disse che dovevo essere punito, e la merda che beve tè si lanciò in un sorriso da pubblicità delle protesi dentali e pregò la puttana di uscire da quel sacrario di boiserie e tappeti e mogano e porcellane e preziose tele illuminate, e la puttana uscì dallo studio, e il conte non disse nulla, schioccò la lingua e io precipitai all'inferno, e finito che ebbe, mi sussurrò all'orecchio racconta questo a mammina e sentivo il sangue colarmi lungo le gambe mentre malfermo uscivo dallo studio del conte che gusta il tè e si stupra ai bambini. 
          Ma non piansi allora come sto invece facendo adesso.

          Cazzo, alla puttana non dissi nulla. A Giuliana non dissi nulla. A mio padre non dissi nulla. Però lo dissi a me, eccome se me lo dissi. Me lo raccontavo in continuazione, cazzo e sempre senza mai piangere, cazzo. Io non ho mai più pianto, e chi avrebbe potuto più ferirmi? Nessuno, mai più lacrime, fino ad ora.

          Ovviamente vado all'aeroporto a prendere alla puttana, e altrettanto ovviamente è 'na magnifica giornata di sole, il cielo è blu come fossimo in montagna d'estate e gli alberi sono stati piazzati qua da Cezanne in persona, forse s'è fatto aiuta' da Monet. E' tutto bellissimo, è l'autunno, anche se fa un freddo della Madonna.

          Cazzo, la riconosceva pure Andrea Bocelli a questa. Vengo abbracciato da un profumo spettacolare che fa da involucro a un completo di cashmere blu come al cielo di oggi e la puttana tiene pure il cappello da sopra alla testa.

     "Da quanto tempo non senti i tuoi fratelli?" Cazzo sei venuta a fare, cazzo vuoi, cazzo di domande fai, come cazzo non riesci a cazzo capire che scappiamo vicendevolmente dalle nostre cazze d'infanzie che se non ci vediamo e sentiamo stiamo meglio, cazzo.

     "Mamma, va bene così, stiamo bene, non abbiamo nessun bisogno di sentirci"
    "Stupidaggini, solo tu la pensi così. I tuoi fratelli mi chiamano con regolarità e si lamentano con me che non li cerchi mai"
    "Ovviamente ad ognuno di noi tu dici la stessa medesima cosa, giusto mammina?"
Una leggera increspatura all'angolo della sua bocca, quasi impercettibile, mi fa capire di aver visto giusto.
     "Ho deciso di lasciare Alastair, è prossimo alla bancarotta, sta fallendo, non lo sa nessuno ma io sì..."
     "Mai avuto dubbi in proposito" Si volta verso di me, la puttana, ed è ancora bellissima a sessantasei anni, si toglie l'immenso cappello, e ne sono felice poiché avrebbero potuto arrestarmi per guida pericolosa, si stira la gonna con una sola mano e il dispenser automatico di ghiaccio inizia a vomitare i suoi cubetti.
     "Pensi di comprendermi solo perché siamo simili, tesoro" La cazza di frase fatidica. Che su di me ha un potere come alla kriptonite sopra a Superman, la mia vista s'annebbia, sento il cuore che mi pulsa dentro alle tempie, il computer del mio cervello esegue un backup e mi sbatte sopra allo schermo tutti i file più importanti ma non mi chiede, purtroppo, di modificarli anzi, mi apre in automatico il file della puttana inginocchiata in cucina, il viso striato dalle lacrime, quante ne abbiamo versate in questa cazza di famiglia, io che m'avvicino a lei, e la puttana improvvisamente smette di piangere si asciuga il volto nella lisa vestaglia a fiori e mi colpisce con forza in testa e mi dice che lascerà mio padre e che lo ha sposato solo perché era rimasta in cinta a quindici anni e che era colpa mia se aveva sposato a quel cazzo di fallito e che se poteva tornare indietro mi gettava in un cazzo di cassonetto e che io ero la rovina della cazza della vita sua e che per colpa mia lei aveva rinunciato a vivere. E mi disse che eravamo simili e che mi voleva bene e che lasciava a mio padre per il bene mio e lo faceva per darmi quello che lei non aveva avuto e io non ci ho capito un cazzo, solo che le sberle sopra alla testa fanno male.

     "Che c'è, tesoro?".
 Maledizione e cazzo. Non chiamarmi tesoro. Mi chiamasti tesoro anche quando il cazzo del conte del tè, dopo che m'aveva stroppiato il mio buco del culo, mi rovesciò in testa il piatto del brodo che proprio non tenevo voglia di mangiare quella sera, e tu invece tesoro mangia pensa a quanti bimbi meno fortunati di te ci sono al mondo Luca Alberto Maria ha fatto bene, ti serva da lezione eccerto che penso a quanti bambini tengono alla fortuna di non farsi sfondare il buco del culo dal patrigno che ci piace il tè e si violenta a mia sorella e mi versa il brodo caldo in capa, ma che gran culo che tengo io, cazzo!

     "Che c'è tesoro, allora?".
     "Niente mamma, tutto bene. Quando riparti?
     "Non lo so, sai sono distrutta. E' doloroso constatare che c'è l'ennesima separazione da affrontare"
    "L'ultima separazione, se così vogliamo chiamarla, qualche beneficio sotto forma di cinquanta milioni di euro pure te l'ha dato, mi pare".
    "Non parlarmi in questo modo, e poi lo sai che l'ho fatto per voi, ognuno di voi ha tre milioni di euro".
    "Sorvoliamo sul dettaglio che per prelevarli teniamo bisogno della firma tua...".
    "Ti prego, esprimiti correttamente, mi sembra d'ascoltare tuo padre!".
    "...e stai certa che io di quei soldi non toccherò mai un centesimo".
    "Tesoro, non farmi questo. Lo sai, sei stato tu..."

          Cazzo, tesoro non farmi questo ed ecco illuminarsi l'altro file.
Sono fotografie. Senza didascalie, senza commenti. Solo foto. La foto della puttana mentre chiede al conte che sorseggia il suo tè in mezzo alle tele preziose di farle aprire un ristorante, il conte che le ride in faccia sputandole addosso il tè del pomeriggio, la puttana indignata che solleva la preziosa teiera di Limoges, il conte che alza la testa che viene colpita dalla teiera, la puttana che porta la mano alla bocca, il conte riverso sulla preziosa poltrona di cuoio cremisi, un rivolo di sangue che delicatamente si posa sul parquet, la puttana che corre a chiamarmi, io mentre dico urlando alla puttana che bisogna chiamare l'ambulanza che quello è ancora vivo, la puttana che tanto per cambiare mi dimostra quanto mi vuole bene colpendomi con un enorme vocabolario sopra alla capa,  la puttana che mi costringe a portare il suo secondo e nobile marito giù nella tavernetta, la puttana che mi dice che devo finirlo con l'accetta d'epoca, quella medievale, la foto di me che dico alla puttana che è pazza, la puttana che m'abbraccia e che mi dice che sono l'uomo della vita sua, io che mi divincolo dalla puttana, la puttana che minaccia d'ammazzarsi con la balestra, medievale originale pure quella, io che sbalestro la balestra dalle mani della puttana maldestra, io che tremo e piango mentre a sedicianni spacco in due alla capa di un conte che ci piaceva il tè e pure incularsi a una figlia sua e al figlio della moglie sua, la puttana che dice che non abbiamo finito, la puttana che mi costringere a tagliare in quattro parti uguali al marito suo, il conte, la puttana che mi dice che ce la devo aiutare a ripulire bene, la puttana che mi fa chiamare alla polizia per dirci che il conte marito suo s'è svanito, la puttana che sviene tra le braccia d'un rattuso e arrapato di carabiniere perché io tengo una certa autonomia decisionale e mi so' chiamato i carabinieri invece della polizia che è sempre meglio averci a che fa co' gente un po' più scema quando sei colpevole come al re dei colpevoli, la puttana che piange come a 'na disperata che quasi quasi ci credo pure io che sta dispiaciuta, la foto della puttana che vuole dormire nel lettone con i suoi figli, e la cazza della foto più bella di tutte, quella dove c'è la puttana che mi colpisce con uno schiaffo e m'accusa d'averle ammazzato il marito dicendomi che avrei dovuto fermarla che non era lucida che era una ferita di poco conto che avrei dovuto chiamare l'ambulanza la puttana che mi dice che per colpa mia la vita sua adesso è un schifezza, ma questa è na foto vecchia.

         Cazzo, mamma quando te ne parti.

     "Hai chiamato i tuoi fratelli per invitarli? Verrano da noi a cena, stasera?".
     "Mamma sì, e mamma no e soprattutto, mamma da me, cazzodicasomai!".
     "Li hai chiamati e non verranno?" Con un'espressione d'incredulità pari a quella d'un fanciullo a cui hanno appena detto che la befana non esiste.
     "Già, e non verranno da me, non da noi!".
     "Sai, a volte non ti capisco". Eccone un'altra. La stessa frase di quando m'hai fatto falsificare la firma del conte sopra a una carta e a un assegno perché non potevamo correre rischi che infatti tu, puttana, mica hai corso dal momento che poi davanti a un giudice con i baffi e puzzolente di sudore ci sono andato io a dire che avevo personalmente visto a quello che ci piace il tè e che tiene l'hobby di fottersi ai ragazzini a prescindere dal sesso mentre che firmava quelle carte che mo' si guardavano il giudice puzzolente.

     "Se sono venuta qui, comunque, c'è un motivo ed è serio".
     "Ovviamente, mammina. Dimmi, sei in missione per conto del Signore e devo andarti ad accoppare il Papa?".
     "Tu lo sai, sui tuoi fratelli non ci si può contare, soprattutto su Al".
     "Mammina, ti secca se ti ricordo che Al era sul punto di dire sì lo voglio e tu ti sei gettata con le mani ad artiglio sopra alla faccia di quella povera Elisabeth e dopo che l'hai sfregiata con le unghie ti sei lasciata svenire sopra all'altare col prete che moriva dalla voglia di farti alla respirazione bocca a bocca Al in preda allo shock e un matrimonio andato a puttane?"
     "Sono  sua madre e l'ho fatto per il suo bene, quella poco di buono se lo sposava per i soldi".
     "Eccerto tu tieni un certo tipo d'intuito certamente certificato".
    "Risparmiati i tuoi giochetti di parole per quella robetta insulsa che vai scrivendo, che ti pubblicano solo perché la casa editrice è di Alistair"
   "Oh mammina, mammina grazie per avermelo ricordato".

          Gli ultimi raggi di sole riscaldano il volto di mia madre intenta a sorseggiare un negroni perfettamente preparato poiché se l'è preparato la puttana che adesso ha il viso del colore dell'ambra e chiamando a raccolta tutto il fascino immenso suo mi dice:
     "Ho bisogno di te".

          Cazzo di cazzo, ho bisogno di te. Ho bisogno di te, tesoro. Quando me lo disse eravamo a Manhattan, New York, America. Alistair stava organizzando un imbroglio di quelli suoi. Teneva bisogno di uno a cui intestare cento milioni di dollari che dovevano sparire. Non ci sono problemi, è 'na faccenda legale, e io mi sono fatto sette mesi di galera a New York, puttana cazzo d'una mamma puttana che ha bisogno di me.

     "Ho detto che ho bisogno di te!".
     "Ti ho forse mai negato qualcosa, mammina?".
     "Arrgh, credi che non potrei ancora prenderti a sberle, eh?".
   "Al contrario, non nutro nessun dubbio in proposito anche se ricordo d'averti sentita dire d'abbracciare il buddismo, ma potrei sbagliare. Faccio confusione con i ricordi".
   "Devi fare una cosa per me". Una bellissima donna, ancora estremamente affascinante nonostante i suoi sessantasei anni, dritta ed elegantemente fiera piazzata davanti a me. Chiedimi tutto, cos'altro mai potresti farmi, che altro può mai esserci.

     "Pare che Al abbia scritto un libro. E' la storia della nostra famiglia..."
   "E che vuoi che sia, Al è arrivato quando il l'uragano era passato, sarà un romanzo rosa al confronto con quello che potrei scrivere io..."
   "...se glielo pubblicano siamo tutti rovinati..."
    "...mammina, forse tu, tu sola ne saresti rovinata, pensa a tutte le tue ladies..."
  "...Al è a conoscenza di alcune partite contabili a me riconducibili grazie alle quali Alistair si salverebbe e per me si aprirebbero le porte del carcere, è per questo che devo divorziare prima e tu devi convincere Al a non pubblicare il libro".
"Bene, d'accordo. Giuliana l'ammazzi tu o dovrò occuparmi di lei anch'io? Quando la finirai? Quando cazzo ammetterai d'essere una fottuta pazza?".
"Devi chiamare Al e farlo venire qui. Adesso. Qui e ora".

          La puttana non è pazza, il pazzo sono io che chiamo Al e Al viene e Al si porta appresso il manoscritto e legge alcune cose che la puttana ha fatto  e che sarebbero incredibili se solo non si trattasse di mia mamma la puttana e Al poi dice che ha già un accordo con un editore e la puttana adesso è viola e Al dice pure che sa quel che ho fatto io che lo ha sempre saputo e che sa che Giuliana è andata a letto con Alistair ovvero con il padre di Al e io inizio a ridere pensando a una qualche cazzo di soap uruguaiana che quelle argentine so' fatte meglio e la puttana sbraita e Al piange istericamente e la puttana dice che gli ordina di non farlo e Al mi guarda e poi guarda la puttana e io vorrei chiamare Giuliana per chiederci come scopa Alistair e mi giro per prendere il cellulare e quando mi volto di nuovo vedo alla puttana che tiene un buco in mezzo alla fronte e Al tiene 'na pistola in mano e io ci chiedo che cazzo fai Al e Al mi risponde sparandomi tre volte dentro alla pancia, ma io non piango.

          Cazzo, io non piango.




sabato 20 ottobre 2012

Reciprocità, Un Uomo Esemplare E Il Dolore



                       L'unica cosa vera è il dolore, sostiene qualcuno.                        

         Puzzo, io puzzo. Mi sono sempre impegnato a sembrare uno a posto, che deve essere stimato e rispettato, e invidiato. Un uomo serio, soprattutto. Mi sono così tanto impegnato, calato nella parte, che si sente la schifa della puzza per il tanto impegno. Che io devo sembrare un uomo esemplare.

          Sono gravido di perbenismo e falsità. Ho dovuto portare avanti una gravidanza difficile dentro al cervello e facevo ecografie a più non posso per controllare che tutto procedesse per il meglio. Mica facile crescersi il male dentro al corpo proprio.

          I primi tempi mi pigliavano certi attacchi precisi di nausea come quando il nascituro tiene un sacco di capelli in capa, che si sa, se il nuovo arrivato tiene i capelli la puerpera vomita di brutto. Questa è scienza, e io tenevo a Bob Marley co' le treccioline dentro alla testa mia.

            Ed è così che poco alla volta e con maniacale precisione ho abituato alla coscienza mia a non cedere alla tentazione di vomitare fuori tutto il male che mi crescevo dentro.

           Ho fatto le cose per bene, mi sono circondato innanzitutto delle persone giuste, quelle ricche, assai. E andavo sempre più selezionando, e più selezionavo, più si faceva sofisticato il metodo di scelta circa gli accompagnatori miei. Ho infatti capito che oltre ai figli dei ricchi mi dovevo fare amico ai figli dei potenti, e più tenevo amici ricchi e potenti più le nausee si andavano via via attenuando.

            Ho iniziato ad aver un certo tipo di reciprocità con il male sotto a tutte le sfumature sue. Fino a convincermi che tutto mi era consentito e tutto era vero e giusto. Tutto quello che facevo era finalizzato allo scopo mio tant'è che, avendo deciso che mi dovevo sposare a miss college, ero convinto d'essere proprio innamorato di Irma.
Dovevo sposare a Irma non solo perché quella  era uno schianto e ci moriva appresso tutto il liceo e svariati altri istituti ma anche perché Irma-miss-college era figlia di suo padre, l'avvocato D'Antonio. Il penalista più famoso di tutto il meridione, e anche il più ricco, e non solo dei penalisti tanto per la reciprocità di cui sopra.

          Le nausee della coscienza hanno preso a scemare, pur essendo io intelligente assai, quando, fidanzatomi con la bell'Irma, venni folgorato dalla passione per la giurisprudenza e, mano a mano che superavo gli esami universitari come a Stennmark si superava i paletti degli slalom, quelle, le nausee, se n'andavano a fanculo.
Meno ero preparato più alto era il voto che m'appioppavano, sempre pregandomi di salutare ossequiosamente al suocero mio poiché la reciprocità col male è puntuale e dotata di una certa educazione. E più mi salutavano e più alti erano i voti e meno avvertivo alle nausee.

            Ovviamente mi sono laureato con tutte le lodi finanche quelle ultraterrene per le quali vi fu la personale intercessione del Cardinale Ripotto che presenziò al pranzo della festa di laurea dal quale se ne andò con diversi chili in più da sopra al proprio corpo anche se non li sentiva poiché felice si stringeva 'na bella busta di preziosa carta avorio filigranata contenente altra carta filigranata ancora più preziosa, assai. Di cui mi fece restituzione con un certo tasso d'interesse quando venne da me per difendersi da certe accuse infamanti, il Cardinale.

         La reciprocità esigeva ovviamente che lo spread tra la mia preparazione e quella invece richiesta per l'esercizio dell'avvocatura fosse 'na roba da far impallidire tutte le agenzie di rating del pianeta.

           Ma, forte del fatto che le nausee erano praticamente cessate poiché nel cesso pure vomitai ai tre amici miei più cari Ciro, Ippolito e Pasquale ancora alle prese co' l'esame di diritto privato dacché, ingenui, erano innamorati e fidanzati co' le figlie di nessuno, io ero convinto invece d'essere un grande avvocato. E cominciavo pure a fare le cause, e a vincerle, cazzo.

           E da avvocato sempre vittorioso in tribunale ecco mi sposai a Irma mia convinto d'esserne innamorato. Un matrimonio da cinema, a Capri, spendendo una cifra da kolossal o da vergogna a seconda dei punti di vista sebbene non me ne vergognai affatto anche perché fu tutto a spese dell'avvocato.

          E così imparai a fare surf, surfavo cavalcando onde via via più grandi nell'oceano del malaffare ma sempre mantenendo quell'aura di rispettabilità e cominciavo anche a farmi delle scopate inimmaginabili poiché tenevo il fascino del nome, dell'eleganza, di una bellissima moglie, che non guasta mai tenere alto il livello dell'invidia che genera confronto e, soprattutto, dei soldi.

           Il dolore mi era sconosciuto.

           Siccome intelligente, assai, compresi che per essere un avvocato penalista di successo, in Italia, non dovevi conoscere i codici ma la matematica. Infatti, ho vinto duecentodiciannove cause facendo le chicane coi rinvii e le prescrizioni.

          Il mio humus, in virtù della reciprocità col male, è la puzza. Puzza di merda. Merda nauseabonda di tutti i delinquenti che ho provveduto, con le mie abilità di calcolo, a far rimanere in circolazione per proseguire a delinquere.

          E io mi difendo ai criminali, alla feccia. Mi muovo nella cacca e stringo mani che hanno impugnato armi, e venduto droga, e siglato truffe, e autorizzato soprusi, e rovinato famiglie, e rubato, e stuprato, e imbrogliato, e ucciso, e non hanno mai conosciuto giusta punizione grazie alla mia abilità con rinvii e prescrizioni. E mi piglio le parcelle, in contanti. Sempre.

          E, fiero, non ho mai conosciuto né sconfitte né dolore. Anzi.

          Ho invece conosciuto la felicità, perché ho avuto una figlia bellissima. Bellissima già appena nata che forse sta male dirlo ma i neonati so' tutti brutti invece Carola mia era uno spettacolo, da guardare a bocca aperta che t'apriva il cuore guardare quella boccuccia a forma di cuore.

         E in quei giorni ho dimenticato tutto il mondo e nel mondo c'era da fare un rinvio che non ho fatto per cui alla mia felicità per Carola, per la reciprocità, i giudici hanno risposto predisponendo un soggiorno di diciotto anni nelle patrie galere per Gino Battoni un pluripregiudicato che meritava certamente una pena ben più severa.
La prima sconfitta, e che sarà mai, fondamentalmente anzi ma chi cazzo se ne fotte, inoltre la parcella, ovviamente, me l'aveva già pagata per cui vattene in galera e non scassare il cazzo, rimembrando il primo suggerimento dell'ormai defunto suocero mio "Avere a che fare con i delinquenti tiene i suoi vantaggi, primo fra tutti quello che stanno pieni di soldi per cui tu la parcella te l'incassi sempre e in contanti. Inoltre, loro lo sanno che so' colpevoli, quindi puoi solo salvarli e diversamente affanculo e basta".

          E ancora oggi, dopo diciottanni precisi, quella della condanna di Battoni è stata l'unica sconfitta della mia carriera ma è concisa con la nascita di Carola di cui oggi è il compleanno, per cui ma tanta cazz!

          Insomma l'imperialismo architettonico del mio cervello deve dominare i cazzi degli esseri inferiori, criminali e ignoranti. E sta piovendo a dirotto, e la pioggia sciacqua le memorie dal marciapiede della vita o almeno così diceva Woody Allen.

          E stiamo qua, alla festa dei diciottanni di Carola. E' vero che è 'na festa di ragazzi ma mica potevo manca' di chiamarmi a tutta la crema mia, per cui è un trionfo del malaffare, la fiera degli sporcaccioni, dei corrotti, dei politicanti, dei truffatori, dei questuanti e io ne sono l'anfitrione. Puzziamo tutti da fare schifo e nessuno si schifa della puzza semplicemente perché è il nostro habitat, ecchécazzo.

"Papà, devi venirmi a prendere dal parrucchiere che piove assai e non mi voglio rovinare l'acconciatura" eccerto tesoro mio, unico appiglio al bene che tengo, mo' vengo gli invitati sono già tutti qui, così rispondo a Carola mia e, dopo aver spiegato ai puzzoni che vado a prendere la mia bambina dal parrucchiere, piglio l'ombrello e le chiavi della macchina e vado.

          Il dolore è l'unica cosa vera.

         Appena esco dal portone, nel mentre faccio per aprire l'ombrello che 'sti cazzi di cosi mai che s'aprono quando ce lo ordini, mi piglia un fortissimo dolore alla capa e poi è tutto buio e luce.

         Mi svegliano delle grida strazianti, come quando ammazzano un maiale, è 'na roba insopportabile, un rivolo di sangue mi scorre dalla tempia fino in bocca sì da sentirne il sapore ma non provo dolore perché quelle urla non mi consentono di sentire null'altro che sé stesse si sono personificate e adesso tengono le sembianze di Carola che è stuprata da Gino Battoni e io mi getto verso di lui ma degli spari mi fanno cadere sulle mie ginocchia poiché è sulle mie cosce che i proiettili appena sparati hanno terminato la loro corsa mentre le urla di Carola si lanciano verso l'infinito pronte a stordire chiunque provi a fermarle tranne me che le percepisco ben distintamente e così come ben distintamente vedo Battoni dimenarsi dentro la mia bambina e ancora e ancora e adesso ha un coltello in mano e io come per magia vengo sollevato dai capelli e il mio viso è ora appiccicato al viso tumefatto dell'angelo mio grande e Battoni coi calzoni calati adesso infila con inaudita facilità un enorme coltello nel collo di Carola dal quale come da un vulcano in piena eruzione fuoriesce un fiume di sangue che finalmente m'acceca ma non mi rende sordo poiché sento chiaramente Battoni dire "Avvoca' tanti auguri di buon compleanno per 'sti diciottanni d mmerda, vafangul a chi te mmuort' fetent".

          E Battoni non fa ciò che speravo facesse, Battoni non m'ammazza.

         Il dolore è l'unica cosa vera, sentite a me quel qualcuno tiene ragione.

mercoledì 10 ottobre 2012

Figlia, Moglie, Madre Mai Donna

          Non si vede niente. Mamma, quant'è alto.

          Sì, sì e sì.

          Sono stufa e oggi mi faccio il giro e ve lo dico a tutti, quanto sono stufa. Vi vengo a trovare a uno a uno. Camilla vostra si veste di chiffon e foulard e nastri e pizzi e viene in visita.

          Ci metto tanto, e tanto, ma tanto. Poi però quando prendo una decisione è quella e manco Gesù Cristo in persona mi può far cambiare idea, ammesso che tiene voglia di venirmi a fare cambiare idea.

          Roberta Flack canta dal vivo nel mio cervello e i neuroni ci sbandierano gli accendini accesi, tutt'un trionfo di nero e giallo e viola e blu, tipo 'na roba romantica, assai. Canta come un usignolo, Roberta. E chi l'ha mai sentito cantare, un usignolo. Che poi, sempre n'uccello è. E allora, lontano. Lontano dagli uccelli. Volatevene via da me. Siete silenziosi. Sono stata troppo a lungo in silenzio e mica c'è bisogno di scomoda' a Rousseau per capire che non è una cosa buona, il silenzio assoluto.

          E avvolta dalla nebbia mo' vi vengo a dire a tutti tutte le cose che tengo da dirvi. Tante cose.

          Nella vita mia non ho mai fatto quello che volevo io, mai. Manco una volta.

          Nebbia e nuvole e freddo e vento.

          Il primo che ce lo vado a dire è mio papà. Papà, tu ti vergognavi del lavoro tuo, mica io. Tu ti sentivi sempre triste e fuori posto, mica io. Per me era un lavoro come un altro, che pure ci ha consentito di campare più che bene, mi pare. Coi compagni di scuola si finiva sempre per fare gli stessi giochi. A casa di Gianna giocavamo al dottore nello studio di suo padre che era medico. A casa di Vittoria giocavamo al negozio e a casa di Lorella giocavamo alla sarta in mezzo alle stoffe della mamma.
          Da noi giocavamo alle condoglianze, almeno fino a che Gianna non s'andò a scegliere 'na bara già occupata. Papà non divaghiamo, il problema non era Da Minguzzo Crociere Eterne. Tutto sommato, uno slogan come un altro. Il problema è stato che non m'hai fatto aprire la pizzeria. M'hai costretta a prendermi la laurea. Però dovevo viaggiare, mentre le amiche mie se ne so' andate a Roma. E comunque io pure me la sono presa la laurea.
          Poi ti ho detto che volevo provare il concorso in magistratura ma tu hai detto che era meglio che me ne andavo a fare pratica dentro allo studio di zio Rocco. Zio Rocco, l'amico tuo, teneva l'impressione che mi doveva avviare a n'altra professione. L'esercizio dell'attività forense non mi credevo che teneva a che fare con i fori miei. E forse sbagliai a non dirti niente. E forse sbagliai a non darci 'na sberla a zio Rocco quando si slacciò i calzoni e mi disse che ce lo dovevo prendere in bocca. Tu facesti brutto quando ti dissi che m'ero licenziata. E allora non dissi nulla intorno alla confusione che faceva zio Rocco sull'uso della lingua dentro all'avvocatura.

           E papà, non ne parliamo di quando mi hai detto che mi cacciavi di casa se mi fidanzavo co' Francesco. Francesco che era dolce come lo zucchero filato della festa del paese. Che abbassava sempre lo sguardo tanto che era timido. Che mi voleva bene ed era tenero e impaurito come a un cucciolo di cane trovato in mezzo a una strada. Ed era sempre pulito e profumava di fiori anche se facevo lo spazzino. Ma tu, papà, dicevi che non andava bene. Che non solo era uno spazzino ma che era pure povero, assai. Ma papà, la gente muore in continuazione e tu i soldi li tieni e non ci sarà crisi che tenga nel settore tuo che oltretutto manco ci hai alla concorrenza. Macché, niente Francesco.

          A Canio mi hai costretta a sposare. Papà a me mi veniva da piangere solo a chiamarlo. Non ne parliamo poi che le domeniche e tutte le feste comandate ce ne dovevamo andare alla casa loro. E meno male che mamma già s'era andata a fare da tempo 'na crociera di quelle che organizzi tu. E io mi dovevo sedere vicino al padre di Canio, zio Rocco l'avvocato. Che era come a nu polipone. Non facevo a tempo a spostargli nu tentacolo che subito ce n'era n'altro sopra a qualche zona del corpo mio.

           Papà, non ce la faccio più. E quindi so' venuta a dirti 'na cosa. Papà vai a fare in culo, secondo me tu la vita mia me l'hai rovinata. Fanculo papà, te lo so' venuta a di'.

           Ah, e finalmente. Ma ancora non si vede niente. Mi piace la nebbia.

          Canio, mo' vengo a dirti un paio di cose pure a te. A me non mi interessa più di tanto dove vai a mettere qual tuo cosino piccolo e poco rigido. L'esperienza mia è limitata, assai. Ma dodici centimetri, che poi la misurazione la fai partire da un punto che proprio non saprei ma comunque diciamo dodici, credo che in giro ci sia di meglio. Ma in giro pure ci sta a un sacco di gente che s'accontenta, ci mancherebbe. Non ho sentito il telefono che non c'era campo che l'avevo lasciato in macchina che non potevo rispondere che era scarico che non ho trovato la chiamata che poi ti spiego che è meglio che ci sentiamo dopo.
          Sinceramente, quello che mi dà fastidio è che tu pensi che so' scema. Manco ti voglio parla' della mancanza di rispetto. Che ti fai bello davanti agli amici. Che dici che tieni le cene di lavoro. Le conferenze. La cosa che poco poco mi innervosisce è che spesso, senza che manco te lo chiedo, tu mi chiami e mi dici di tenere a una in mezzo alle gambe tue co' quella che sente, ride e si diverte e io che ho sempre fatto finta di niente.
          Canio, tu a me non m'hai fatto godere manco una volta. Io godo per i fatti miei, tengo un sacco di fantasia e una certa manualità e mi procuro da sola il piacere che tremo proprio ed è bellissimo. Ti dirò, manco gli abbracci mi mancano più. In più ti lavo alle mutande che spesso so' pure scacazzate, ti stiro le camicie che ti vai a fare sbottonare da signore che s'accontentano di poco e ti faccio mangiare pure come a un porco. Senza averti mai chiesto soldi, oltretutto.
          Canio una volta avevo preso il coraggio e volevo parlarti e m'hai detto che era meglio che non cominciavo proprio che tanto non m'avevi mai picchiata. Ti ringrazio Canio che non mi hai menata.

          Canio, ascolta a Camilla tua. Vattene a fanculo. Canio vafangul va' va'.

          Mica è stato così difficile tutto sommato. Ancora non si vede niente, ma non è stato difficile. Trentanni a sopportare e cinque minuti per mandare a fanculo. Pure le parolacce riesco a di'.

         Gianna, amica mia. Bugiarda. Falsa. Stronza. Invidiosa. Gelosa. Ciuccia. Ricca. Gianna, che tiene 'na parola di merda per tutti gli umani della terra. Gianna, che t'ingioielli per venire alla casa mia. Gianna, che giri con i fogli di cinquecento euro dentro alla borsa ma che sei infelice che io che colpa ne tengo. Gianna, che ti pigli i dodici centimetri di Canio dentro al corpo tuo dentro al bagno di casa mia.
Gianna, vafanculo. Gianna, vafangul, va' va'.

           E' un mantra. Niente ancora vedo, ma 'sti vafanguli so' precisi come a un mantra.

          Padre Vincenzo, fanculatevi pure voi e la filosofia della sopportazione.

          Rocchino, figlio mio ti dico la verità e manco mi sento in colpa. Doverti chiamare col nome di quello che voleva che ce lo ciucciavo dentro allo studio suo mica facile è stato sai, no no. Però, Rocchino te la faccio breve. Io sono tua madre, no la tua cameriera. Ti voglio dire che non sta bene che rompi i vetri della casa tirandoci il ferro da stiro quando vedi che la camicia che ti volevi indossare ancora non è pronta anche se me l'hai gentilmente ordinato di stirartela appena due minuti addietro. In più col pubblico di amici tuoi tossici come a te che assiste agli ordini di stiro e alla rottura dei vetri.     Rocchino, io sono mamma tua e tu mamma mi devi chiamare non quella là. Tu non devi averci a questa confusione dentro al tuo cervello. Rocchino, se nel tè che ti porto a letto alle dodici del mattino ho dimenticato di farci sciogliere allo zucchero tu non c'è bisogno che mi fai allo shampoo in testa con l'infuso al limone che i miei capelli già biondi sono.

          Rocchino, figlio mio ma vattene a fanculo, vafangul va' va'.

          E finalmente s'alza pure la nebbia, era ora. Stavo quasi per mandare a quel paese pure a questo altissimo ponte. Guardo giù. Il ponte non si merita che ce lo mando affanculo. 

          E' alto, assai che è alto. Sù Camilla, dai vattene a fanculo tu adesso. Per una volta nella vita fai a una cosa come pare e piace a te.

         Salta, sù...venite adesso uccellacci, accompagnatemi in questo volo che adesso la nebbia non c'è più.

martedì 2 ottobre 2012

Depresso, No Incazzato Praticamente Esaurito

          Sono orfano da quando tenevo tre anni, praticamente sono orfano da sempre. M'ha cresciuto mio nonno, che è vedovo da prima ch'io fossi orfano.

          Mio nonno teneva altri due figli oltre a mio padre. Ovviamente so' morti prima che morisse mio padre. Credo che nonno mio tiene una certa sbadataggine appresso alla stirpe sua.

          Per quanto mi riguarda penso di tenere una certa sfiga latente, che mi segue e non rompe i coglioni più di tanto però c'è. E' tipo come il bagno schiuma d'in fra le chiappe quando ti fai la doccia. Tu hai voglia a sciacquare, niente. Non se ne va. Passi e ripassi la mano, ci indirizzi il getto d'acqua sopra, allarghi le chiappe co' le mani. Niente, non se ne va.

          Ovviamente è morto pure nonno mio e io so' preciso solo sopra alla faccia della terra, assieme alla schiuma in mezzo alle chiappe.

           Dice che so' depresso, stai depresso ti devi curare. No, io non sto depresso semplicemente me ne sbatto.

          Me ne sbatto il cazzo di stare dieci ore in piedi a fare la fila assieme a centinaia d'altri subumani per spendere 700 euro per un telefonino.

         Cazzo se stai male. Cazzo se stai male tu che ti ecciti a vedere un coglione di ventanni che solo davanti al portiere si sbaglia un gol che faceva pure Stevie Wonder e tu poi ti chiedi pure se per caso non se l'e sbagliato apposta 'sto cazzone il gol che s'è venduto la partita che non ci bastano i soldi, che si fotte in un mese quanto mio nonno non s'è riuscito a guadagnare in tutta una vita intera.

          Sei depresso. Ma vafangul tu e mammeta, non sto depresso io semplicemente me ne sbatto il cazzo e nemmeno so' incazzato che tanto a niente serve.

           Ma se manco ti lavi e guarda in che casino vivi, persino sul computer è pieno di polvere. Sorvolo sul fatto che qua ci vivo io e non tu e se decido di collezionare la polvere sul pc sono senz'ombra di dubbio cazzi miei che poi vale pure per il fatto che non mi lavo e d'altronde me l'hai detto tu preciso che in questo casino ci vivo io per cui, vattene a fanculo.

           Sei riuscito ad ingrassare di almeno venti chili in un mese ma che hai, devi curarti tu stai depresso.

         Ancora a cacare il mio cazzo. Io non sto depresso semplicemente me ne fotto d'andarmene a una palestra per vedere pseudo macisti che scoreggiano mentre fanno gli addominali e gente di cinquantanni con gli occhi fissi sul trancia chiappe di signore ingioiellate cha saltano appresso alle loro tette convinte di poter vincere la sfida con la forza di gravità.

         Sei malato, devi curarti e da dove t'arriva 'sta cattiveria. Io non mi devo curare e perché mi devi dire che so' cattivo solo perché chiamo le cose precise con il loro nome. Devi curarti tu semmai che ti guardi a bocca aperta alla televisione dove c'è uno sudatissimo che urla come a un posseduto del demonio co' la faccia appiccicata a 'na bara di plexiglass dove che è rinchiusa 'na femmina nuda vestita solo di scarafaggi e serpenti e io so' malato e cattivo, ma vattene a fanculo.

          Sei depresso, devi darti una mossa, trova un lavoro. Sì così davvero mi ci faccio possedere dalla depressione che piglia forte alla vergogna d'andarmi a farmi prendere per il culo da qualche ignorante di merda vestito come a un cafone che si gestisce un potere spropositato e mi dice che il momento è brutto che c'è la crisi che bisogna averci la pazienza che però lui la pazienza non ce l'ha e si fa togliere la giacca dal suo autista prima d'entrare in una enorme macchina blu che è rimasta accesa per tre quarti d'ora perché così il cafone s'appoggiava quell'enorme culo sopra alla pelle fresca, ma me ne sbatto il cazzo. Mi tengo il mio di lavoro, che non guadagno niente è ininfluente.

         Tieni quarantanni e manco ancora ti sei trovato a una femmina. Eccerto mo' me la trovo come a quella che ti sei sposato tu che adesso è n'altra persona da quella che ti sei sposato che non teneva le labbra e manco le tette e mo' tiene 'na rappresentanza di gommoni per il mare addosso al corpo suo che poi 'sti gommoni ce li hai pagati tu e quella ci porta in giro per tutti i porti della terra a chiunque ci chiede di salirci sopra ai gommoni suoi.

          Se volete vi faccio contenti a tutti quanti e vi dico che sto depresso basta che mi promettete che non mi rompete più i coglioni, meglio depresso che cornuto.

          Insomma io sto da solo e sto bene co' me stesso e mi faccio i fatti miei  e sarebbe bello come a Ridge se pure voi così come state pigliate e vi mettete a pensare ai fatti vostri tipo a cominciare a pensare chi si maneggia ai gommoni da diporto.

          E me ne sto nella mia bottega che tiene il nome mio anche se è quello di nonno mio, Gianfederico Foto Artistiche. Nonno faceva il fotografo e quello m'ha imparato a fa' pure a me. E vengono a farsi fare le fotografie del matrimonio. So' tutte uguali. Certi si so' sposati a Sorrento io mi so' sbagliato co' photoshop e ci ho messo le foto di Pizzomunno e manco se ne so' accorti.
          Dice, vorremmo delle foto prima delle nozze viene a casa a farcele? Eccerto, mi paghi e ci vengo a casa tua e ti trovo a questa vestita come alla regina delle pornostar che mi dice fammi le foto e poi scopami, s'annuncia un matrimonio assai felice.

          Per cui dentro alla testa mia tengo solo rumori e va bene così.

          Julia Sarah, dalla Svizzera. Che come cazzo ci sei arrivata qua dalla Svizzera. Entra nella bottega mia e si guarda attorno inespressiva. Sembra che se ne fotta della polvere, del disordine, di quanto so' grasso e della barba mia. Mi fissa dentro agli occhi e continua a starsene muta. Tiene n'impermeabile giallo doppiopetto non abbottonato, allacciato dalla cintura annodata come per caso ma mi sa che questa s'è spesa diversi quarti d'ora per sistemarselo così st'impermeabile. Ancora mi fissa ma manco l'apre a quella bellissima bocca che pare un tulipano al sole dei Caraibi.

          Perché cazzo mi sento inadeguato. Mi chiamo Julia Sarah buongiorno vorrei fare dei ritratti. E invece di dirci subito ma certo ci dico perché è venuta da me. Perché mi pareva d'aver capito che fosse un fotografo, mi dice. L'universo e il relativismo al cospetto dell'ovvio si disintegrano.
          E così pure i miei rumorosi pensieri svaniscono, ora mi paiono come segni di punteggiatura abbandonati sopra a un foglio bianco.

          Posso sedermi, chiede. E ci metto otto ore circa per dirle certo che può sedersi Julia Sarah. Penso a Jack Nicholson quando ci dice a Helen Hunt che ci fa venire voglia d'essere un uomo migliore. Tengo i dubbi sugli apostrofi. Vorrei radermi. Mi piacerebbe avere il foulard di Cary Grant in Caccia Al Ladro. Non sono sicuro di sapere la tabellina del nove. Voglio avere di nuovo i capelli lunghi e puliti. Sto facendo allenamento e corro e faccio dodici chilometri in settanta minuti.

          Julia Sarah s'è seduta dopo essersi tolta l'impermeabile giallo, il colore che tengo sul cazzo più di Stalin. Indossa un tubino nero che adesso s'è ritirato in difesa oltre la metà campo rappresentata dal più bel paio di gambe mai apparse sopra a questa terra. Voglio essere l'inventore di tutte le filosofie, tengo i dubbi sul congiuntivo manco fossi un cazzo di politico. La magistratura del desiderio mi condanna a fine pena mai. Mi guardo a quelle caviglie nude come fossi un bambino del Corno d'Africa avanti a una diga d'acqua.

          Il sorriso di Julia Sarah mi fa male a tutti gli organi del corpo mio. Mi guardo i piedi che vorrei fossero incarcerati dentro a un paio di John Lobb invece che in queste cazze di Clark's ideologicamente vetuste. Il mio cuore liso è suonato da John Bonham e Bonzo ci dà dentro di brutto mentre vorrei che Julia Sarah mi precedesse sulle scale per il paradiso.

          Voglio comprare l'iPhone 5. Mi voglio passare la notte all'aperto e voglio comprare il più bel telefonino della storia dei bei telefonini. La Svizzera parla co' la voce di Grace Kelly mentre io voglio fare il capo ultrà della curva e guardarmi a tutte le partite di pallone. Voglio fare una festa, la voglio fare  dentro alla palestra. Ho stile, questo mi dice Julia Sarah guardando le mie foto mentre s'aggiusta i capelli dietro l'orecchio e io voglio stare assieme a quella nuda coi serpenti dentro alla bara di plexiglass.

          So' depresso e voglio andare dal medico, accompagnami Julia Sarah della Svizzera.

          Faccio appello al tribunale dei desideri per la revisione della condanna a fine pena mai. Tengo il desiderio di Julia Sarah e mi proclamo innocente.