martedì 17 settembre 2013

La Colpa.



          Il mondo è continuamente alla ricerca di un colpevole. E il colpevole è sempre innocente, non esistono rei confessi. La colpa è sempre di qualcun altro, si trattasse pure di eventi atmosferici. Una sola eccezione, io. E mi piace sedere sulle panchine.

          E' dal mio primo ricordo che è sempre colpa mia. Normalmente il fallo di reazione è punito con più severità di un normale fallo di gioco, foss'anche d'ostruzione, il fallo. Herb Alpert  cantava  This Guy's In Love With You fuori pioveva e mia madre stava preparando il tè. A me il tè non piaceva però andavo pazzo per i biscotti al burro e pur di mangiarne qualcuno mi bevevo il tè. Per mio fratello più piccolo, anche se di soli otto mesi e mezzo più piccolo, era invece il contrario. Per lui tutto è sempre stato il contrario. Il patto era doppia razione di tè a te ed il doppio dei biscotti a me, macché. Quello per dispetto si mangiò i biscotti e allora io non volli dargli il mio tè, e fu un errore. Un doppio errore. Il primo errore fu che Piero, mio fratello, il piccolino, mi fece lo shampoo con il tè bollente. E io odio tutto ciò ch'è freddo freddo e tutto ciò ch'è caldo caldo, soprattutto se me lo rovesciano da sopra alla testa. Il secondo errore fu che, urlando, gli dissi una parolaccia. Ecco che da allora per mia madre divenni una specie di terrorista ricercato in tutto il mondo. "E' colpa tua, Tommaso" disse mia madre. E nel dirlo promulgò il primo di quelli che sarebbero stati degli editti punitivi esemplari ed assolutamente fantasiosi, sovente accompagnati da sberle memorabili con drammatica colonna sonora composta da ritornelli in serie Ma come è possibile, E chi me lo doveva dire, Ma dov'è che ho sbagliato, Ma da chi hai preso, Quando torna tuo padre vedrai, Ti mando in collegio ... al ti mando in collegio più volte trovavo la forza di rispondere con un magari subito seguito da un aggiornamento della app punitiva. Ovviamente, Piero faceva e rifaceva e rifaceva e rifaceva la ola.

          E' colpa mia, sempre.

          Le automobili rappresentano per moltitudini di persone un universo a parte. All'interno delle proprie auto i più si trasformano in specie di supereroi malvagi. Nel loro abitacolo fanno cose che probabilmente neanche nella privacy dello loro stanze da bagno si azzarderebbero a fare. Si sente senza dubbio al sicuro e protetto da sguardi indiscreti quell'uomo apparentemente distinto, in giacca e cravatta, all'interno della classica e monotona berlina tedesca e nera. La fronte aggrottata e un'espressione di puro dolore sul volto, dev'essere un mago intento a provare uno dei suoi trucchi. Infatti riesce a far sparire tre, avete letto bene, tre, tre dita, tre dita intere, riesce a far sparire tre dita della mano destra all'interno della narice destra del suo naso. E dopo qualche momento, evidentemente soddisfatto poiché adesso sul suo viso danzano sorrisi d'orgoglio, ecco prende ad ammirare le sue tre dita che ora, accompagnate dalle altre due, modellano una scultura fatta di muco verdegiallo tendente al rossastro. Il semaforo è ancora rosso. Io e il mio autista siamo circondati. Decine e decine di automobili, tutte ovviamente con un unico conducente. Solo sguardi distanti e distratti. Ognuno assorto nella propria insoddisfazione. Una bella e riccioluta signora mi fissa dal finestrino senza vedermi. Mi guarda, ma non mi vede. Mentre il mago è adesso un buongustaio. Infatti assapora con malcelata soddisfazione la scultura tondeggiante e colorata d'autunno. Vorrei scendere dall'auto e dirgli che mi fa schifo. Vorrei scendere dall'auto e dire alla bella riccioluta che forse il suo problema si può risolvere. Vorrei dirle che non è colpa mia, e invece non scendo dalla mia auto perché magari è proprio colpa mia se la riccioluta è triste. Scatta il verde, e la partita di rugby può riprendere, tutti lanciati a folle velocità come se chi li aspetta fosse felice di vedere arrivare due minuti prima simili cretini.

          E nel momento in cui tutti giocano nuovamente a rugby penso a quando Silvia mi ha insegnato a mangiare i cioccolatini.
"Tommaso, ma tu li mangi tutti assieme, anche tre per volta. E poi li mastichi, non devi".
"Cosa faccio, li ingoio a tipo pillole?"
"Idiota! No amore, devi tenerlo in bocca per un po'. Succchialo. E poi tienilo schiacciato per qualche momento con la lingua sotto il palato. Vedi, così". E la guardai ammirato mentre chiudeva gli occhi e deglutiva e ancora con gli occhi chiusi mi fece dono della sua lingua. Da allora ho sempre mangiato così i cioccolatini. Li scarto, li metto in bocca, li succhio un po' e poi li schiaccio con la lingua sul palato, e aspetto. E dopo aver mandato giù chiudo gli occhi e aspetto che Silvia mi dia la sua lingua. Ma Silvia non c'è più, ovviamente per colpa mia. E' colpa mia, sempre.

          Quell'estate io avevo la patente, Piero ancora no. Io guidavo, lui no. Quando la macchina di Papà uccise una vecchietta che convinta d'essere Mennea si materializzò sul parabrezza la colpa fu mia. E' per quello che io da allora non guido più. Subii il processo. Non mi ritirarono la patente, ma lo fece mio padre. L'editto si trasformò in uno scisma, venni promosso da terrorista a diavolo incosciente. Nessuno mi chiese come andarono i fatti. Se per caso fosse colpa della vecchietta. "Avresti potuto uccidere tuo fratello più piccolo". Tipo che Tommaso se t'ammazzavi tu, pazienza. Io avevo la patente quindi io guidavo e io avendo ucciso, non avrei più guidato. Guardai una sola volta Piero, ma Piero girò la faccia così come la girò per guardare la ragazza dall'altro lato della strada mentre lui, senza patente e alla guida della macchina di papà dopo un'infinita serie di ti-prego-dai-ti-prego-fammi-guidare-ti-prego-eddai,  s'ammazzava una vecchietta. E' colpa mia, sempre. Io sono l'eterno colpevole che mai professa la propria innocenza.

          Semplicemente, è colpa mia.

          Mi piace stare un passo dietro. La mia carriera è all'insegna di molti colpi di fortuna, il classico al posto giusto nel momento giusto per cui adesso sono uno dei più apprezzati consiglieri del Presidente della Repubblica. Anche al Quirinale, in molti dicono che la colpa è mia. Però nessuno ha ascoltato i miei suggerimenti. Destra o sinistra, sinceramente non saprei. Anche questa forse è una colpa. Mi piacerebbe pensare che lo Stato pensasse ai fatti suoi intorno alla libera attività economica della società, e questo è certamente un pensiero di destra. Sono convinto che la gente dovrebbe essere libera di morire come meglio gli pare e poter rifiutare cure inutili e dolorose, allora sono di sinistra. E sono di sinistra intorno alle Università e per quel che riguarda le carceri sovraffollate. Vorrei però che tutti potessero avere un giusto processo e i colpevoli scontassero una giusta pena. Cazzo se sei un delinquente devi stare in galera e se ti condannano a dieci anni ti devi passare in galera 3,650 giorni! Evidentemente sono di destra. Sì, perché sono convinto che il privato funziona meglio dello statale e perché i sindacati tutelano solo i sindacalisti. Epperò gli imprenditori hanno la tendenza d'approfittare delle flessibilità, allora sono di sinistra anche perché non sopporto gli evasori. Troppe tasse, sono di destra. Il voto a Sel è un voto perso, con i sellini non ci si ragiona, semplicemente ci si siede sopra. Magari con una qualche attenzione. Sono convinto che il male del lavoro sia la CGIL, ecco la prova che sono di destra. Mi aveva molto incuriosito quel comico, Grillo. Gli avevo anche prestato una certa attenzione. E gli avevo dato fiducia, peraltro pronosticandone il successo. Ma l'ho già detto, sono sì un consigliere ma inascoltato. Avevo detto, chiedete scusa. Presidente, faccia cambiare la legge elettorale. Presidente, non accetti un secondo mandato. Presidente per una volta, mi ascolti. Non mi ha ascoltato, ovviamente. E' forse per questo che sono uno dei consiglieri più apprezzati. E' questa la mia colpa. Secondo me non esistono più destra e sinistra. E questa è certamente una colpa della destra come della sinistra. Pensieri in libertà, scorrono inarticolatamente e paiono seguire il traffico imbizzarrito di Roma. In nessun'altra città del mondo si guida come a Roma. E nessun'altra città al mondo ha i tassisti che ha Roma. I tassisti di Roma hanno un'opinione su tutto, e te la urlano dallo specchietto retrovisore la loro opinione. Semplicemente, non si fanno i cazzi loro. Ma credo di non avere colpe in merito a questo. Credo.

"Credi in Dio?" Chiesi a Silvia.
"Credo nella maestosa e sconfinata bellezza che ci circonda, so per certo che c'è un solo cielo, così come un solo sole. C'è una sola terra, e non la rispettiamo. Probabilmente la nostra è la migliore religione del mondo ma lo penseresti se fossi nato in India o in Cina o in Iran?  E tu credi in Dio? E se sì, qual è il Dio in cui credi, quello buono e misericordioso del Vangelo o quello cattivo e vendicativo della Bibbia? Se Gesù venisse tra noi oggi girerebbe con un iPhone? Potremmo vederne la resurrezione da una telecamera a circuito chiuso? Credo nelle cose belle e nell'amore e se Dio è amore allora sì, credo in Dio. Faccio però tanta fatica a credere che l'amore giusto sia solo tra persone di sesso diverso e, a proposito di sesso ... è meraviglioso sentirti dentro e di nuovo pronto". E iniziò di nuovo a pretendere il mio amore con una maestria senza eguali, portatrice d'una bellezza indegna di tutti i maestri d'arte. L'arte quella vera, non la roba moderna o gli sfregi contemporanei. Quando finimmo iniziò a nevicare "Voglio un bacio per ogni fiocco che si posa a terra" mi disse. "Ce la posso fare, temevo ne volessi anche per quelli che si posano sugli alberi" le risposi.

          Silvia era tutto, è colpa mia?

          E' forse il momento di ammettere i tanti, troppi errori. Bisognerebbe dare un segnale tangibile di una qualche rinuncia. Ci vorrebbe una visione d'insieme, una lungimiranza che sembra non appartenere più alla classe politica e dirigente. Presidente abbiamo bisogno d'una favola. Di qualcosa di eclatante. Ci vorrebbe qualcuno molto simile a Papa Bergoglio.
"Suggerimenti?" Il Presidente Napolitano.
"Non nomi, fatti Signor Presidente".
"Lei è d'una ingenuità esemplare".
"Crede che dopo tante oscenità possa esserci qualcosa di ancor più osceno se decidessimo di puntare sull'ingenuità, Signor Presidente?" E lo dissi guardandomi la punta delle scarpe, mi parve d'avere i pantaloncini corti e le calze bianche con i fiocchi ai lati, le scarpe che stavo guardando erano quelle con gli occhi di bue. Un bambino di sessantottanni.
          Il Presidente mi lanciò uno sguardo di compassione e poi aggiunse "Da quali fatti comincerebbe?"
"Da un'utopia. Dal lavoro e dai giovani. Alimenterei il debito pubblico, farei partire lavori sull'intera rete stradale e ferroviaria. Signor Presidente a Matera non arrivano i treni. Scuola, detassazione completa per un anno su tutti i lavoratori dipendenti. Abolizione delle quote sindacali. Non abolirei le Province, ma le Regioni. Mafiosi, usurai, pedofili, assassini, corrotti e corruttori restano in galera e per tutti gli altri l'amnistia. Chiusura delle frontiere. Legge elettorale e riforma costituzionale, e per i reati contro le donne ...". Mi accorsi che stava guardandomi come uno sconosciuto pur conoscendomi ormai da quindici anni, tentava di capire un trattato sull'arte contemporanea.
"Devo andare, buonasera". E' colpa mia?

"E' proprio necessario? Se davvero ti apprezzano tanto pensi non saprebbero apprezzarti altrettanto tra quindici giorni? Inoltre è tutto pagato!" Questo disse Silvia quando le comunicai di non poter partire per New York.
"New York mica la spostano, rinunciamo e ci andiamo un'altra volta. Non è importante, è fondamentale. E' un posto d'ambasciatore, magari ci andremo a vivere, a New York, un giorno. Ci sono delle regole...".
"Regole! Cazzo, regole che rispetti solo tu! Ormai sono tre anni che rimandiamo il matrimonio per le tue regole che, ti ricordo, non ti hanno fatto accettare la vice presidenza del consiglio che è andata a quello là che le regole non le ha mai rispettate!" Era furiosa, ma persino con tutta quella furia negli occhi era meravigliosa, semplicemente era Silvia.
"Ok, hai ragione sul fatto che è tutto pagato, potresti andarci con Piero, magari". E la guardai con tutta lo dolcezza di cui ero capace. Indossava una sottoveste nera e mi dava le spalle, guardava fuori dalla finestra i colori che annunciavano l'autunno. Ovviamente non ebbi il posto da ambasciatore, però Piero accompagnò Silvia a New York.

"Non è una faccenda personale, ci mancherebbe, è il momento che lo richiede. Il Presidente preferisce rivolgersi ad un gruppo di saggi". E che saggi.

         Il traffico di Roma dipende da quello che succedeva al Colosseo, forse. Il mio autista mi accompagnerà per l'ultima volta a casa. E continuo a pensare a Silvia, e a Piero. Anche la volta che mi disse d'essersi innamorato non mi guardò in faccia. La girò dall'altro lato, come quando ammazzò la vecchietta. Girò la faccia e mi disse d'essersi innamorato. Piero s'innamorò di Silvia a New York. E New York fece lo stesso effetto a Silvia, che pure s'innamorò di Piero.

         E' colpa mia, io ho voluto che andassero a New York. E' sempre colpa mia. New York mi sta sul cazzo, e mi piace sedere sulle panchine.