Trees do not grow in the sea, everybody knows that. Dreaming is baby stuff, everyone knows that. The visions are for fools, everybody knows that. You're really stupid if you cry while reading a book. You touch if you see two old men walking in the park holding hands, you really are silly. An apple a flower and the moon, that's all. You go in the rain in the sea, you idiot. It 's just a sunset. It's blind, and his dog stinks. Trees do not grow in the sea. The dog smells dog and the blind man he described the sea the sky the clouds the sun and the rain, and I can not see it all so wonderfully. The blind man says that nothing is unusual. Do not underestimate the unusual, because the trees grow in the sea. Gli alberi non crescono in mezzo al mare, lo sanno tutti. Sognare è roba per bambini, lo sanno tutti. Le visioni sono dei folli, lo sanno tutti. Sei proprio scemo se piangi mentre leggi un libro. Ti commuovi se vedi due vecchi che passeggiano nel parco tenendosi per mano, davvero sei scemo. Una mela un fiore e la luna, tutto qui. Vacci tu sotto la pioggia in riva al mare, idiota. E' solo un tramonto. E' cieco, e il suo cane puzza. Gli alberi non crescono in mezzo al mare. Il cane profuma di cane e quel cieco mi ha descritto il mare il cielo le nuvole il sole e la pioggia, e io non riesco a vedere tutto questo in maniera così meravigliosa. Il cieco dice che niente è insolito. Non sottovalutare l'insolito, perché gli alberi crescono in mezzo al mare.
A differenza delle altre volte la capa mia mi propone qualcosa che tiene una certa attinenza con il momento. Un vero momento di merda, decisamente.
Sangue che mi scappa dalle mani, non ci riesco a fermarlo. Cristo, e dentro la capa mia The Flaming Lips in concerto dal vivo ci chiedono all'autista dell'ambulanza di fare presto. Cantano Mr. Ambulance Driver. Direi che è abbastanza appropriato come collegamento sinaptico, certo meglio di quello di stamattina che mentre mi trombavo, sì con una certa maestria a giudicare dalle grida e dallo sguardo perso di Micaela, la moglie del carabiniere, quella del primo piano che entro a casa sua e mi dice di fare piano e poi si fa sbattere sul piano e mentre me la sbatto, non certo piano, e il mio cervello mi passa le immagini di Sandra Mondaini che canta Buonasera Stasera la sigla di Noi No e quella che prima mi diceva di fare piano mo' dice sì, noi sì, e dice pure fai forte, sempre sul pianoforte. E io faccio forte co' quella da sopra al pianoforte.
E dopo che abbiamo finito quella dice che sente le vibrazioni e io ci dico che le sento pure io le vibrazioni perché è il mio cellulare che vibra e quella mi dice che vuole vibrare ancora e di più e a me pure m'andrebbe di farla contenta solo che ho risposto al cellulare e mio fratello mi dice di scappare e io dico a quella del primo piano stesa sul suo piano che me ne devo andare e lei mi dice che è arrapata forte e mi stringe forte forte il membro mio e io ci urlo forte assai che devo proprio andare perché mio fratello dice che sta male e mi ha chiesto aiuto.
I Flaming Lips ancora invitano all'ambulanza, ce la pregano di fare presto e io non capisco un cazzo, troppa gente, fumo, sirene, urla, puzzo di bruciato, fiamme, gente che mi calpesta, uno perde sangue da un orecchio e cammina come fosse un sonnambulo, tengo del pesce marcio sopra a una gamba e la testa di mio fratello sopra all'altra, di gamba. La gamba col pesce puzza, la gamba con la testa di mio fratello sembra che perde sangue invece il sangue cola lungo la fronte di mio fratello che ora tiene gli occhi bianchi e sbatte le labbra, quelle labbra carnose e bellissime che davano il via a certi sorrisi strepitosi, quando mi rincorreva nel giardino senza mai riuscire a prendermi, accompagnato dall'ondeggiare dei suoi riccioloni neri. Lui la spuntava sempre, con papà. A me non mi hanno mai fatto portare i capelli lunghi, me li facevano sempre tagliare. Invece Stefano si ribellava, e non se li faceva tagliare i riccioloni suoi.
Stefano diceva che tra noi non ci sono dieci anni di differenza, ma secoli. Stefano era bellissimo, mentre io no. Io ero sempre gentile ed educato co' tutti, soprattutto a scuola, con i professori. Mi prendevo i miei sei, e con una certa sollecitudine mi sono pure laureato. Stefano teneva sempre sul cazzo a tutti, lui mi diceva invece che non teneva sopra il cazzo a nessuno ma manco voleva che nessuno ci mancasse di rispetto.
Io mi facevo i cazzi miei, e Stefano invece si faceva sempre i cazzi degli altri. Stefano era bellissimo ma diceva che voleva scopare per il suo cervello e non per la sua bellezza. Ecco, sopra a questo punto io proprio non lo capivo poiché a me di scopare m'è sempre piaciuto assai e ho sempre dovuto fare una certa fatica per farlo perché con me non è che le femmine volessero farlo come volevano co' Stefano, che quelle tutte volevano farselo.
Io co' Papà non ci discutevo proprio. Laurea e poi dentro la fabbrica. Prima in mezzo agli operai, poi negli uffici e poi nell'ufficio. E papà m'ha dovuto dire una sola volta che dentro alla fabbrica sua non esistevano femmine che invece c'erano e qualcuna pure davvero bona ma io a papà non ci riesco a disobbedirgli. E mica l'ho mai fatto.
Stefano teneva un suo manifesto, lo intitolava politico estetico, per me i manifesti so' quelli della pubblicità.
Il caos è sovrano e regna sopra a tutto l'universo che mi circonda col suo puzzo. Io chiamo a Stefano ma quello ci tremano le labbra ma non mi risponde e le mie mani fanno proprio cacare come diga che il sangue se ne scende come a tipo il fango del Vajont.
Mo' è arrivato pure papà e tiene la faccia posseduta.
Papà ci diceva che i giovani so' belli ma non servono a una minchia. Tengono gli ideali e so' puliti, ma nessun ideale ha mai portato il pane sopra a nessuna tavola. E Stefano se lo fissava negli occhi e lo sfidava. E ci diceva che il suo manifesto ci imponeva di manifestare e papà diceva che il suo manifesto non era così intelligente da far manifestare ai manifestanti come si deve.
Adesso papà si guarda intorno, io piango ma non mi spiego perché mentre il concerto prosegue e ci sta un sacco di gente al concerto, forse perché è gratis. Chissà che sta facendo quella sopra al pianoforte.
Papà tiene un braccio dietro alla schiena e la rabbia sopra alla faccia.
La stessa rabbia che teneva quando si piazzò di fronte a Stefano dentro alla fabbrica dove mio fratello si cercava di mobilitare agli operai di papà a scioperare contro a papà e papà che guardava a Stefano e ci chiedeva se lo voleva picchiare e io che ci volevo dire a Stefano che papà a lui non lo aveva mai toccato manco quando il preside lo voleva espellere dalla scuola perché si faceva gli spinelli in classe e papà non lo picchiò nemmeno quando quello se lo offese davanti al preside che si prese pure lo sfizio di dirci a mio padre che non era un bravo educatore e Stefano mo' se lo sfidava davanti agli operai suoi e sapeva che papà non ne aveva mai licenziato nemmeno a uno, e papà fece dietro front al cospetto degli operai suoi.
Papà si strattona a una sacco di gente, papà si piglia 'na manganellata in testa da un carabiniere e io spero che papà non se ne crolla di faccia a terra perché sopra all'altra gamba io tengo la spazzatura e non c'è posto per papà che invece se ne sta in piedi davanti al manganellatore.
E la sera della protesta in fabbrica Stefano non se ne voleva venire a tavola a mangiare e allora papà se l'è andato a prelevare da dentro alla camera nostra e Stefano era seduto mo' a tavola di fronte a me ma io non me lo guardavo, guardavo invece al brodo che cercavo di mangiarmelo senza fare rumore perché mi ricordavo di quella volta che feci rumore e 'na pala di quelle che usano i militari quando ci sta l'emergenza della neve da spalare da sopra ai marciapiedi mi arrivò dietro alla nuca sotto forma di mano di papà che disse che non dovevo mangiare come a un troglodita e Stefano mi dice che ne penso e io alzo le spalle e papà dice che è stanco.
Stefano dice a papà che pure lui è stanco di questo mondo.
Papà dice a Stefano che il mondo è meglio di quello che crede lui.
Stefano piange e dice che non è vero.
Papà piange pure lui, e dice che se i giovani si mettono d'accordo il mondo davvero possono cambiarlo. Ma non andando a fare le manifestazioni coi fazzoletti sopra alla faccia e i caschi e con le mazze in mano e con le pietre.
Stefano dice che si devono difendere.
Papà dice che la miglior difesa è l'attacco quando si gioca a pallone non quando si va a manifestare contro a della gente che per lavoro non ti deve far fare cazzate quando manifesti.
Stefano dice a papà che tiene torto.
Papà dice a Stefano che prima o poi qualcuno metterà in mano a qualcuno con una mazza una pistola e allora andranno tutti a fare in culo.
Stefano mi chiede che ne penso, io alzo di nuovo le spalle.
Papà dice a Stefano che gli vuole bene, molto.
Stefano dice che se fosse vero l'appoggerebbe. Allora io mi alzo e ci rovescio sopra ai riccioloni neri il brodo caldo. Stefano mi guarda che pare a Noè mentre s'ascolta le previsioni meteo. Papà mi mena una sberla. Papà s'alza da tavola e prega Stefano di non andare alla manifestazione di domani.
Domani è adesso co' Stefano che ora non perde più sangue e forse allora gli operai delle mani mie hanno aggiustato la diga.
Papà discute con uno con un manganello in mano e si avvicinano verso di noi, e tutti scappano, e vedo il fuoco, il concerto è finito ma l'ambulanza non arriva. Sento papà che chiede al manganellatore se è stato lui a colpire a Stefano quello ci risponde di sì, papà ci chiede perché, il manganellatore ci dice che Stefano teneva una pietra in mano e ce la agitava davanti alla faccia, papà ci chiede di fargli vedere alla pietra, quello ci chiede se per caso tiene voglia di pigliarsela pure lui una manganellata da sopra alla testa, papà ci chiede ancora di farci vedere la pietra, quello ci risponde di farsi ai cazzi suoi, papà dice che quello morto a terra sopra a una gamba dell'altro figlio suo è assolutamente frutto dei cazzi suoi, quello non apprezza la battuta, papà ci mette dentro all'occhio una pistola, io non so che cazzo fare, il manganellatore mo' è più bianco di Stefano, papà spara e quello sbatte all'indietro in un momento, cade a peso morto, e vorrei vedere.
Io non vedo l'ora di svegliarmi per dirci a Stefano che ho fatto un brutto sogno e che non voglio che va alla manifestazione. Ma la sveglia stamattina sembra che non tiene voglia di suonare.
Sono impalato davanti a zio Billy e tengo la precisa espressione d'intelligenza d'un merluzzo appena pescato, sto pure co' tanto di bocca aperta perché non riesco a trovare una spiegazione logica per il tempo che zio Billy sta impiegando a scegliere tra due abiti praticamente identici, mi dovete credere so' uguali, davvero.
"Sderenato d'un decerebrato e stracafone inadeguato con lo stesso sangue mio, cancella dal tuo volto st'espressione scrotale. Ormai hai cinquantanni e purtroppo ho fallito, non sono riuscito a trasmetterti il gene dell'eleganza, peggio per te. Il glen check, volgarmente definito dai più principe di galles, non è solo grigio. Hai davanti a te due abiti di pregevole fattura entrambi con fondo castagna finestrati di bordeaux e azzurro ma..."
E qui lo zietto di settantasettanni si produce in una delle sue proverbiali pause gassmaniane, due dita della mano sinistra poggiate sulla tempia sinistra, mento in alto, testa all'indietro, braccio destro proteso in avanti e palmo della mano destra aperta, un leggero sbuffo, mi guarda con disgusto e rabbia gli suscito lo stesso moto empatico che produce un cazzo di rappresentante di medicinali che entra prima di te dal medico mentre tu sei lì che aspetti da tre quarti d'ora e quello, vestito come un becchino e con la faccia che solo loro tengono, ti precede e ti guarda pronto pure a sfotterti, vafangul a loro, dunque lo zio prosegue:
"...uno ha doppio rigo verde e l'altro senape, e sono indeciso su quale indossare, coglione!".
Posa i due abiti, che credetemi so' identici altro che senape e verde, e si dirige alla libreria da dove sceglie un Lp e come posseduto dall'estasi posa sul piatto il vinile e con la pazienza di uno di quei malati di mente che si costruiscono un modellino navale, sì sì, di quelli a uscite settimanali, tipo centotrentaquattro fascicoli, che mi chiedo ma 'ste raccolte davvero c'è qualche umano che ogni settimana, per centotrentaquattro settimane, se ne va all'edicola e si compra il suo fascicolo, e distratto da 'sti pensieri adesso vengo colpito dalle note del disco che zio Billy s'è scelto February Sun di Manu Katché da Neighbourhood, una vera delizia seguita poi da No Rush caratterizzata da altrettanto lirismo ma l'idillio, ovviamente, non poteva durare.
Infatti, un messaggio sul cellulare mi invita a collegarmi con urgenza, anche se ovviamente con terminologia alquanto differente, con Cungo, lo smelonato farmacista.
"Mago Minkionis, teniamo bisogno della vostra illuminata consulenza...presto!". Così esordisce il faccione di Cungo quando mi collego tramite computer con la sua farmacia, e poi in un bisbiglio aggiunge
"Sì preciso come a nu coglione! E' dieci minuti che aspetto, qua teniamo 'na roba di fantascienza".
Che bello, sono inondato di stima, fiumi di stima, in due, in due minuti, m'hanno dato del coglione.
Vengo sopraffatto dal terrore e no dalla curiosità perché se Cungo, noto malato di mente, parla di roba da fantascienza la faccenda è seria, ancora è troppo vivo il ricordo di quello che è stato capace di fare sopra alla barca di Lipparella (vedi post del 27 Agosto Zio Billy Il Panfilo Aluvostro E La Festa Di Ferragosto, e 2 Luglio Cungo E Il Mago Minkionis e 23 Luglio Cungo In Pizzeria) .
"Preco, preco, ditomi a tutto".
"Grande maco, vi faccio spiegare alla problematica dalla diretta interessata, avvicinatevi al bancone signora, venite venite e parlate dentro al computer".
"Ma che mi fate apparlare co' nu compiutro?".
"Sì signora il compiutro vi collega con il mago, venite, avvicinatevi, non vi preoccupate".
Adesso lo schermo è occupato da una donna con quattro menti, su ognuno dei quali trionfa un grosso neo ciascuno con tre lunghi peli ramati ricurvi alla fine, insomma 'sti menti so' come all'oceano i nei so' le maldive e quegli schifi di peli paiono gli alberelli, la signora, 'na damigiana, s'apre in un sorriso e fa mostra d'una dentatura caratterizzata da lunghi intervalli neri.
"Ascoltatelo Maco Minchione...".
"Signo' minchione 'sto ciuccio, Minkionis...no Minchione, eh!".
Zio Billy incuriosito s'avvicina, la paura sale.
"Scusatemelo, maco Minkias".
Sullo sfondo s'intravede a Cungo che balla come a Psy il gangnam style.
"Signo' e qua minkias e minkias...Minkionis, la minkias beh...andiamo avanti".
"Vabbuo'... MACO... cussì ce lo tranquilliamo, allora come che ve lo addispiecavo allo supremo professo' farmaceutico noi atteniamo una famiglia ricolma di problematicità assistenziali di salute malata che tipo ci sta cognatemo che è affettato di alisi...". Cungo, tamponandosi le lacrime con un fazzoletto di carta, ritiene d'intervenire.
"Maco, ve lo siete visto ascoltantovetelo come si appadroneggia di forbitissimo linguaggio espressionistico, alla signora, ah?"
"Signo' ho capito bene, vostro cognato è malato di alisi?"
"Sì, sì, ma io vi sono arrivoltami addentro di voi che tenco io uno problema malativo ma che ora ha guarigione per di cui mi abbisogna la carta medica della diagnosticanza intorno alla malattia che in pratica io teneva una lernia e mo' apperò la lernia s'ha miracolata e ci devo portare le cartelle medicative allo vescovo che poi quello me le deve inviarle a Roma che ce le addevono sottopostare al benedettissimo santissimo Papa nostro che deve dichiararlo il miracolo e me medesima come persona miracolata dalla lernia che prima c'era, quanto a nu melone, e mo' non ci sta più, la lernia".
Ho voglia di bere, zio Billy, che nel frattempo ha optato per l'abito senape, dice che il momento richiederebbe i Defunkt e no Manu Katché, dallo schermo del pc vedo Cungo che sussulta e rossissimo in volto fa fatica a trattenere le lacrime.
"In pratica..." Interviene quel malato mentale "...Voi, Maco, dovete intercedere presso l'Ospedale per avere la cartella clinica della signora. Ora la mia idea sarebbe che Vostro zio potrebbe accompagnare la gentile damigiana pizzodotata..."
"Prufessoro farmaceutico come siete galantico"
"...da quel comune amico per la documentazione necessaria a certificare l'avvenuto miracolo".
"Signora sarà per me un piacere e un onore accompagnarla a ritirare la cartella clinica, e chi se lo perde questo evento di portata mondiale! Solo un'informazione, l'appuntamento col vescovo l'avete già preso?". Il principe di Galles castagna finestrato bordeaux e azzurro con righino senape si produce pure in un inchino.
"Certamente che lo sono appuntata con il vescovo, timano appomeriggio quello eccelenza si aspetta a me persona. Se per lo avvero che ce lo accompagnate a me persona vedovata vi aggrazzio tandissimo signore eterno".
"Eh no signo' domani è giorno di riposo per la farmacia e vi accompagno anch'io, ci mancherebbe!".
Il collegamento s'interrompe, sul viso di zio Billy compare una smorfia diabolica mentre mi dice
"Interessante signora codesta damigiana, quanto poi alla alisi, malato di alisi, è una meraviglia".
Credo che domani verranno le televisioni. Non ci voglio chiedere a zio Billy se tiene intenzione di accompagnare la signora anche dal vescovo, oltre che all'ufficio cartelle cliniche.
Zio Billy, per l'occasione, si veste con un completo di velluto viola, liscio, camicia bianca con cravatta in cashmere celeste e due enormi gemelli in corallo.
Scusate le continue digressioni, ma questa va raccontata con una certa enfasi, tipo che ci vorrebbe il grassetto, nu bello evidenziatore. Dunque, volevo descrivervi i gemelli che oggi s'è messo zio Billy. Sono ovviamente fuori misura, in pratica non si può non notarli. So' grandi e immagino pure costosi, so' pesanti, tipo di corallo massiccio, pieno, il corallo d'una volta. Oltre che grandi e costosi e pesanti, ecco, la particolarità di 'sti gemelli è la forma.
So' a forma di cazzo. Questo s'è messo due enormi gemelli rosso vivo, in corallo, a forma di cazzo!
Purtroppo ci viene a prendere il fidato Isuccio col padrone suo, il miliardario balbuziente in carrozzella Procopio Alvaro Lipparella, sono venuti con un immenso monovolume nero con i vetri oscurati tipo film americano e io tengo un bruttissimo presentimento.
Arrivati in ospedale ci accorgiamo che c'è qualcosa che non va. Troppa confusione, troppe macchine, troppa gente. Insomma, troppo.
"Non può sostare qui", il maldestro e quanto mai inopportuno tentativo d'una bella femmina vestita da vigile urbano che vorrebbe impedirci di sostare davanti all'ingresso principale dell'ospedale.
"Se non fosse per l'enorme disgrazia con la quale quotidianamente siamo costretti a fare i conti in virtù del dramma che ha colpito il mio sfortunatissimo amico, sarei davvero tentato d'obbedirle meraviglia d'una fanciulla, ma senz'altro posso pregarla di concedermi il piacere d'offrirle un caffè o qualunque altra cosa di cui lei avvertisse la necessità, anche ore d'amore, mia cara". E mentre questo dice, il vegliardo acchiappa repentino la mano della bella vigilessa, le sfila il guanto e se l'accompagna dolcemente alle labbra mentre con l'altra mano, uggesù uggesù, s'appoggia sul sedere del pubblico ufficiale.
E' pazzo. Zio Billy è pazzo. E ci arrestano.
"Mi dispiace ma sono in servizio, però smonto alle 14 e sarà per me un piacere prendere un aperitivo con lei, signore". Le molestie sessuali sono un'invenzione. Zio Billy ancora palpeggia e la vigilessa non batte ciglio, mentre un tuttofare muto, Isuccio, un handicappato miliardario , Procopio, un farmacista malato di mente, Cungo, un'aspirante miracolata, la pizzodotata damigiana, aspettano come in una reclame d'un film di mafiosi, tutti a braccia conserte, all'ingresso dell'ospedale.
Zio Billy bacia i capelli della regolatrice del traffico e ci raggiunge col passo fricchettone d'Obama. Tiene settantasettanni 'sto ciuccio di playboy.
"E complimenti per i suoi meravigliosi gemelli, gentile ammiraglio Billy". Avete capito che ci urla appresso a zio Billy la vigiloccola, la vigilessa nu poco zoccola.
Entriamo e siamo come tuffati in un mare di gente, un mare proprio grosso di gente, un oceano di gente. E l'oceano è pure agitato, assai. Solo che credo non si sentano le puzze di brodo e di cipolla e di aglio e di sebo unto e le grida tipo di un suk quando che stai in mezzo all'oceano agitato, credo.
Ma Isuccio è preciso Mosè. 'Sto muto divide le acque e ci crea un passaggio e così siamo al cospetto dell'ufficio amministrazione, zio Billy s'odora il polso.
"Blenheim Bouquet è certo meglio della flora che ci circonda, figliolo". E quello s'odora il polso e io ci guardo il polso, dove trionfa n'enorme cazzo di corallo, mannaggia mannaggia.
A quanto pare oggi c'è l'inaugurazione di un nuovo padiglione e ci sono tutte le facce da lei non sa chi sono io del pianeta, il milanista display dice in rosso su fondo nero che è il turno del numero 64, siamo fortunati poiché noi abbiamo il 67 e mentre mi concentro sulla scollatura certamente fuori luogo della signora addetta allo sportello ecco giungere alle mie orecchie, ma anche a quelle di tutti gli altri con l'eccezione di Isuccio, una di quella frasi che credevo cadute in disgrazia, e invece:
"Lei non sa chi sono io".
"Credo invece di saperlo, lei è uno che alza troppo la voce".
"Lei non sa chi sono io".
"Le ripeto, lei è un maleducato che alza troppo la voce".
"No, lei non sa chi sono io".
"Deve prendere il numero dall'elimina code".
"No, lei non sa chi sono io, e lei non ha il cartellino, dov'è il suo cartellino".
"Deve prendere il numero, dov'è il numero?".
Io spero proprio che questa il cartellino non se lo mette altrimenti copre le tette, almeno una.
"Lei non ha il cartellino, le faccio passare i guai, puttana!".
Ooops, la faccenda si fa interessante al punto che Isuccio si avvicina al desk, mentre Procopio dondola la capa guardando a zio Billy che si liscia la cravatta. La damigiana è muta.
"Lei non ha preso il numero, coglione!". Aleeeè!
"L'ho preso, m'è caduto. Lei non ha il cartellino".
"Ce l'ho, m'è caduto".
"Adesso le faccio vedere io, puttana" e sbatte forte forte le mani a palme aperte sopra il vetro divisorio che fortunatamente per tette belle non cede. E Mr. lei non sa chi sono io se ne va furente commettendo l'errore di urtare assai maldestramente la carrozzella del megamiliardario amico nostro. Isuccio pare a Tarzan, tipo Tarzan, che centocinquantaquattrocentimetri so' pochi per essere Tarzan, e fa per lanciarsi sopra a quel galantuomo ma inspiegabilmente Procopio lo blocca con un semplice gesto del capo.
"Bravo Proco', mo' mi sa che ci divertiamo. Gentile damigiana prego, venga che chiediamo la sua cartella".
Subito m'offro di aiutare la damigiana, zio Billy scuote la capa e mi lascia fare e io ingenuamente, faccio.
"Buongiorno gentile signora avremmo bisogno della cartella clinica..."
"Senta non è aria, primo mi guardi negli occhi, secondo sono sicuro che lei non è il figlio della signora, per cui aria, bello, aria. Rispettare la privacy". E tette belle mi fa allontanare e quasi quasi ci voglio dire che tanto ce l'ho visto il capezzolo, quello dove non ha messo il cartellino che ora come per magia è apparso preciso sopra alla zizza sinistra. Questa tiene due tette da urlo, pure quella col cartellino. Mi allontano, e si fanno sotto Procopio e zio Billy che prendono a parlottare con tette belle.
E che ve lo dico a fare tanto, ovviamente, lo avete capito preciso pure voi che la signora tette belle col cartellino che mo' non c'è e mo' c'è mo' s'ammira i gemelli di zio Billy quindi il clamoroso prende forma per mezzo delle parole dell'aspirante miracolata, la damigiana ex portatrice di lernia:
"Maddonna bellissima e Padreterno che da quanto tembo che non me l'avvedevo certe forme zozze zozze ma calantuomo Billy so' precisi precisi a come che me li ricordavo che so' passati tanta anni da che è l'ultima volta che mi so' vista nu bello cazzo".
"Effettivamente, dei gemelli decisamente singolari" Tette belle fa eco all'ex portatrice di lernia.
"Ecco qua ' bellezza, cheste so' e cartelle ca m'avevi chieeest, hai visto comm'è che so' stato veloce...uuuuuh e Gesù ma ndove li avete presi 'ste meraviglie 'e gemelli?".
Ecco, ci mancava solo nu fru fru e il narcisismo di zio Billy prende il sopravvento e quello flirteggia e s'atteggia pure co' fru fru.
Non tengo parole.
"E' quella là, è quella. Quella grandissima scostumata". Un plotone di coglioni s'appressa a noi guidato da una trionfante nazista testa di cazzo di mister lei non sa chi sono io.
Dal momento che c'era l'inaugurazione ecco che appresso a mister lei non sa chi sono io ci sta il presidente della regione, 'na serie d'assessori, il direttore dell'ospedale, il sindaco, il questore, il prefetto, il vescovo e il solito sterminato codazzo di leccaani. N'immagine d'una tristezza infinita. Perfino Cungo, che poco prima m'aveva detto che i gemelli di zio Billy erano a grandezza naturale, almeno per quanto riguardava lui, mo' s'è intristito alla vista del plotoncoglioni.
"Signora, è vero che lei stava allo sportello senza il cartellino?" L'enorme panzuto direttore dell'ospedale.
"Signora, è vero che lei ha riempito d'ingiurie un utente del servizio pubblico?" L'assessore alla sanità, il libro mastro dei coglioni è in continuo aggiornamento.
"Signora, si rende conto che rischia il licenziamento?" Il presidente della regione, pure lui nella top ten dei serbatoi dell'organo riproduttivo.
"Signora, lei è passibile di querela" Il questore che non s'è riuscito a farsi i cazzi suoi.
"Le ho sempre detto di mettere il cartellino, io, sempre. Ogni giorno le dicevo che si doveva mettere il cartellino!". Ecco, il prode capufficio parte lancia in resta in difesa della sua collaboratrice.
Purtroppo tette belle adesso sta perdendo il rimmel da dove se l'era messo. E' presa da un pianto dignitoso. Non protesta. Non dice nulla. Guarda il suo capufficio come ci si può guardare le scarpe dopo aver calpestato una merda. Piange. Le lacrime blu scuro le scendono copiose dagli occhi, le sporcano la camicetta aperta, lasciano indelebili tracce sul cartellino ed è sola al mondo, adesso.
"Lacrime di coccodrillo, va bene il pentimento, ma doveva pensarci prima". Finanche il vescovo decide di dimostrare al mondo la sua propria intelligenza.
"E le chiederò i danni!". Lei non sa chi sono io.
E' sceso il silenzio sull'ospedale ed è arrivata pure la vigiloccola che fa adesso quel che tutti avrebbero dovuto fare. Entra nell'ufficio e tampona il viso di tette belle.
"Ppp per faaaa per fa favore...". Il plotone di coglioni solo adesso nota la presenza di Procopio.
E hanno tutti cambiato espressione.
"Du du dunque..."
"E lei chi cazzo è!" Mister lei non sa chi sono io non ha il tempo di pentirsi della sua frase perché in un battibaleno, Isuccio il muto quasi nano, gli sferra un calcio su un ginocchio facendolo piombare a terra preciso di faccia sopra ai piedi della damigiana la quale, dimostrando una prontezza insospettabile, ci casca col culo da sopra alla capa e mister lei non sa chi sono io sviene e si perde il meglio.
"La signora è mia nipote! Ca ca caca cazzooni!". L'urlo di Procopio è tipo 'na scossa del quarto grado della scala Richter. Non ci sono vittime, pochi danni agli edifici, ma tutti la sentono e di conseguenza tutti si cacano sotto. Tutti hanno paura del terremoto.
I plotoncoglioni adesso so' diventati i 4+4 di Nora Orlandi. Come non sapete chi è Nora Orlandi, eddài che lo sapete, è solo che magari non ve la ricordata a Nora e il coro suo.
Comunque, questi, in coro, stanno a chiedere scusa a Procopio. Addirittura il direttore sta baciando le mani del potente miliardario, il presidente della regione lo bacia sopra alle guance, il questore fa arrestare a quello svenuto, il vescovo benedice a tutti...ma n'altra botta di terremoto! Stavolta la scossa è del sesto grado, ecchéccà, il sesto grado è roba tosta, assai.
"Toooooglietevi da da da davanti aaaa al caca ca cazzo mio! Dovete chiedere scusa alla signora, non a me!".
Tutti adesso si voltano e c'è tipo 'na gara tra coglioni a chi prima arriva al cospetto di tette belle, che mo' per dispetto s'abbottona la camicetta fino all'ultimo bottone e nella corsa però Cungo allunga 'na gamba e il direttore generale, sgambettato, travolge l'assessore che a sua volta fa cade' il questore il quale s'azzoppa al sindaco che cade sopra al presidente della regione, e siccome so' tutti coglioni non c'è ne uno, tra i caduti, che è riuscito a mettere le mani avanti, e confermando che so' coglioni proprio, sbattono tutti di faccia per terra e se ne svengono.
Le cariche istituzionali della regione so' tutte svenute. E' nu colpo di stato.
E' rimasto in piedi solo il vescovo che però è stato placcato dalla damigiana.
"Ecco eccellenza rivederendissima riverosa queste so' le prove. Tenco le astre. Ecco qua. Questa è la astra dove che si avvede la lernia quanto a nu melone e questa è la astra dove che la lernia a melone è sparita. Tenco avuto allo miracolo!".
"La astra?" Il vescovo mantiene una certa lucidità.
"Certo, eccellenza. La astra, le radiografie!". Cungo dirada le nubi.
Il vescovo si guarda Procopio e Procopio dice:
"Vuoi che smsm sm smetta di passarti l'ass ass lasse l'assegno annuale? E dichiara sto' cazzo di miracolo!".
Il vescovo si fa il segno della croce.
"Sono sposata!" Sbaammete, Cungo si piglia 'no schiaffo da tette belle. Procopio viene spinto fuori da Isuccio e io cerco zio Billy ma non lo vedo.
Usciamo fuori e Isuccio fa gesti in direzione dell'immenso monovolume nero sul quale stanno adesso salendo zio Billy e la vigiloccola. Zio Billy ci fa ciao ciao con la manina.
Mannaggia mannaggia, dentro le istituzioni stanno ancora svenute.
Mi chiamo Julie e non mi va mai bene niente. Dicono sia una cacacazzi.
Il nome tipo esotico è merito tutto del mio papà, diplomatico americano d'un certo livello, che ha sposato la mia mamma conosciuta quando stava in servizio a Roma. Abbiamo girato mezzo mondo tutti insieme fino a quando mamma non s'è stancata di fare le valigie e impacchettare l'argenteria e soprattutto fino a quando non ha deciso che non era più il caso di condividere il marito suo pubblicamente co' chiunque ci metteva il più appresso manco fossimo sopra a google plus.
Questa è la premessa per farvi capire quanto a volte le psicoputtanate ci azzeccano circa le disfunzioni che attingono alla sfera comportamentale affettiva delle genti pargole di chi si cornifica.
Tengo da ridire su tutto e alle pendici della catena montuosa dei sentimenti miei ci sta un terreno arido assai, dall'altro lato è pure paludoso.
Ho maturato una discreta esperienza intorno alle cose sessuali con tanto di statistiche in virtù di diversi campionati ai quali ho partecipato dentro alle ambasciate americane di mezzo mondo. Anche qui, ancora una volta, maschietti belli, ve l'assicuro, lasciate stare alle psicoputtanate, se ce l'avete piccolo tenete un problema. Se ce l'avete grosso ma non sapete usarlo, tenete un problema. Se ce l'avete grosso e sapete usarlo ma credete che siete voi a conquistare le femminucce, tenete un problema. Insomma il problema dei maschi è che fanno partire i ragionamenti sempre a livello inguinale, e i ragionamenti del fallo so' fallaci. Mi piace fare all'amore ma non mi sono mai innamorata. E per fare all'amore ho dovuto sempre prendere io l'iniziativa perché sono proprio una bella donna, assai.
C'è chi dice che gli occhi sono il mio punto forte, grigio verdi tipo gatto e io i gatti non ce li sopporto. Devo ammettere che i miei capelli so' niente male dal momento che tengono una leggera ricciatura naturale, foltissimi e ambrati, lucenti assai tipo il riverbero al tramonto sopra al mare. La mia bocca, sebbene all'interno ci sta una dentatura da pubblicità, è caratterizzata da enormi labbra rosso vivo e carnose, troppo. Ma pare godere di apprezzamenti fuori dal comune in certe particolari occasioni. Inoltre, purtroppo, sono alta centottantuno centimetri e siccome manco per la Madonna di Lourdes rinuncio ai tacchi ecco che la cosa risulta imbarazzante dal momento che il mio seno è quasi sempre all'altezza degli occhi dell'interlocutore di turno. Sì, sebbene sia arrivata a compiere proprio oggi trentasei anni, devo dire che le mie tette ancora combattono egregiamente la battaglia con la forza di gravità per cui, quando vengono private del loro sostegno, che è della quarta misura, mantengono un atteggiamento fiero e dignitoso. Ovviamente mi piacerebbe avere delle areole decisamente più piccine, ma tant'è. Pur avendo sempre da ridire su tutto mi arrendo intorno all'argomento culo poiché il mio tiene una matrice brasiliana, senza dubbio. Inoltre, il virus degli ultimi due secoli, chiamato cellulite, a me non m'ha attaccato per cui niente groviere né sopra alle chiappe, tantomeno intorno alle cosce che terminano la loro lunga estensione in un paio di caviglie decisamente troppo sottili, per come la vedo io.
Insomma, sono un pezzo di fica e quindi so' sfigata poiché i maschi, notoriamente vigliacchi e dotati di pochissimo senso dello humor, a quelle veramente belle non ci si avvicinano. Inoltre, sono intelligente.
E così, io non mi sono mai innamorata. Papà adesso è a Johannesburg ma le reti telematiche funzionano benissimo quando devono trasferire fondi e considerato che ci piacciono le femmine a mio papà ma è pure generoso come d'altronde è pure generosa mamma mia, ecco io non faccio un cazzo dalla sera alla mattina e ancora una volta faccio trionfare alle psicoputtanate e mi dedico allo shopping ossessivo-compulsivo nel cui campo, credetemi, sono una riconosciuta autorità. Sì, anche nella pecorina, ma so' altri discorsi.
Quando piove a Roma, piove. E' come se tutti gli apostoli guidati dal loro capo, al quale certo non possono disubbidire, pigliano delle enormi pompe e annaffiano alla città eterna. E quando gli apostoli stanno a fa' giardinaggio i taxi, evidentemente convinti d'essere tutti cabriolet, svaniscono.
E so' impalata in Piazza di Spagna proprio all'inizio di via del Babuino, piena di buste di Hermes, i tacchi incastrati nei sanpietrini...sì, vuoi imparare a camminare con i tacchi? Tesoro, vieni a Roma...acqua ovunque e davanti a me c'è pure un altro cristiano...
"Mi scusi, aspetta un taxi?"
"No signora, mi piace stare sotto lo pioggia".
Mentre me lo guardo cerco di ricordare quand'è stata l'ultima volta che mi so' sentita così cretina, inoltre è pure più alto di me. Iguazu, e poi sto precisa sotto alle cascate Iguazu, 'na botta d'acqua dolorosa da sopra alla capa che quasi non ci mena per terra e allora 'sto cristiano mi piglia da un braccio si carica alle buste mie arancioni e mi porta dentro a una di quelle barche dei viaggi della speranza, una carretta del mare, stipati nella stiva di 'sto Baretto insieme a decine e decine d'altri inzuppati ci arrampichiamo all'angolo del bancone e per la prima volta lo guardo in faccia.
Devotissimi di tutte le religioni questo è bello da cinema, cinema di classe. Maledizione all'acqua caduta dal cielo di Roma quant'è bello mentre con un gesto d'altri tempi si toglie il soprabito di cashmere panna con la fodera rossa, indumento assai adatto vista la giornata, dovrà certamente buttarlo, per prendere un enorme fazzoletto di lino che tiene nel taschino della giacca doppio petto beige a spina di pesce con inserti bordeaux e mi tampona il viso col fazzoletto e non riesco a guardarlo nell'oceano pacifico degli occhi suoi così abbasso lo sguardo e noto un bellissimo paio di gemelli a forma di rana, verdi e rossi, che gli bloccano i polsini della camicia bianca al cui collo è perfettamente annodata una cravatta dello stesso colore degli occhi suoi...
"Leone, molto piacere".
"Leone?".
"Sì, mi chiamo Leone...".
"...Leone?" ...e inclino la testa di lato proprio come la regina delle cretine, si chiama Leone, mica merda
"Leone Feroce".
"Leone Feroce?".
"Sì, ma i miei genitori sono morti". E' pure simpatico.
"Julie..." e adesso?
"...piacere Julie..." aspetta a dirlo
"Andrews, Julie Andrews e i miei genitori sono ancora vivi!". Ci fu un tuono enorme ma nessuno di noi due riuscì a sentirlo poiché eravamo piegati in due dalle risate tipicamente stupide, assai stupide, di due adulti che si piacciono.
Andai a casa sua, dove facemmo all'amore nell'ingresso del suo appartamento e dove compresi che ci sono uomini che non sono stupidi, uomini che sanno farti divertire, uomini che ti fanno sentire una regina, uomini che ti fanno sentire protetta, uomini che non sono dei bastardi. E lo capii dal modo con il quale Leone mi carezzava il viso, con il dorso della mano nodosa, da come le sue lunghe dita si insinuavano nei miei capelli, da come le sue labbra, perdinci alquanto sottili devo dire, scrutavano tutto il mio volto, come si schiudevano leggermente sulle mie palpebre, come la sua lingua umida e calda perlustrava la mia bocca in maniera alquanto simile alle squadre di sicurezza in cerca d'ordigni nelle nostre varie case, e la pioggia continuava incessante e s'infrangeva sui vetri come violenti marosi e ora lo stesso impeto s'impossessò di Leone mentre mi prendeva e i suoi lunghi capelli nocciola mi solleticavano il viso mentre godevo tra le lacrime dell'amore di cui finalmente facevo conoscenza.
"Hai il sorriso più bello ch'io abbia mai visto, Julie". E lo guardavo, guardavo le sue possenti braccia mentre era ancora dentro di me...
"Julie, tutto bene?". Il mio è bello di sorriso? Deficiente, ma il tuo, dico te lo sei visto?
"Julie?". Sei la cosa più bella che mi sia mai capitata, Leone Feroce e sono innamorata di te , bell'uomo dal nome improbabile.
"Julie?".
"Ancora, Leone. Fallo ancora, di nuovo". E fu di nuovo l'amore.
In un anno non mi ha mai delusa. Sempre sincero. Molto impegnato, devo dire. E' un broker marittimo, un lavoro assai strano mica mai sentito. Montecarlo, Atene, Londra, Genova, Abu Dhabi, e io sono gelosa che Otello a confronto è nu norvegese eunuco, maledizione.
Mia mamma è entusiasta di Leone, e Leone se la guarda che non mi piace 'sta cosa. Siamo a ristorante, a Milano, dove risiede alquanto comodamente mammà, aspettiamo papà. Ve l'ho detto, Leone è uomo d'altri tempi e vuol chiedere la mia mano al diplomatico americano. E piove, tanto per cambiare. E papà arriva, e la cena è un film, e Leone tira fuori tre anni di stipendio sotto forma d'una pietruzza biancazzurra sfaccettata e luccicante imprigionata in un cerchio bianco. Leone guadagna un sacco di soldi all'anno, assai.
"Ti prego Julie, vuoi sposarmi?"
"Domani sei a Genova, giusto?"
"Julie, che c'entra?". A me non va mai bene niente.
"Allora te lo dico quando torni". Eccerto che ti voglio sposare amore mio e oggi, tre Novembre 2011, è il giorno più bello della vita mia.
A me non va mai bene niente, neanche quando il telegiornale mi dice che a Genova c'è stata un'alluvione che altro che gli apostoli con la pompa. E io chiamo Leone, ma il cellulare è staccato. E continuo a chiamarlo per tutto il pomeriggio. E continuo a chiamarlo anche la sera, ma una voce del cazzo mi dice che l'utente potrebbe essere non raggiungibile e questa voce del cazzo non lo sa che per me Leone è sempre raggiungibile, che devo dire a Leone che lo sposo, io e Leone ci dobbiamo sposare quindi lui deve essere per forza raggiungibile mentre 'sta voce di 'sta gran cessa continua a dirmi che Leone mio non è raggiungibile e che devo provare a richiamare più tardi e figurati se devi dirmelo tu, brutta cessa, che devo provare a chiamare più tardi all'amore mio anche per tutta la notte, ogni due minuti lo chiamo, ma la voce continua imperterrita e inflessibile a dirmi che il mio sposo non è raggiungibile, siamo al cinque di Novembre e io ancora non ti ho potuto dire che ti sposerò, amore mio.
"...l'utente da lei chiamato non è al momento raggiungibile, la invitiamo a riprovare più tardi, grazie".
Mi chiamo Ettore e sono un figlio di puttana, già nel nome mio tenevo come una specie di predestinazione, ecco.
Sono tutto sommato un bravocristo è che mamma mia è proprio una puttana. Non ha mai fatto la puttana, no. E' proprio una puttana, e ci ha sputtanato a tutta l'infanzia nostra e non solo.
Faccio 'ste profonde riflessioni mentre mi guardo il cellulare che lampeggia e vibra e mi viene incontro come fosse un epilettico in attesa d'essere abbracciato da qualcuno ma invece che la bava alla bocca quello tiene scritto da sopra al display MAMMA perciò m'agguanto all'epilettico co' tutta la rabbia in corpo e rispondo e sudo prima ancora di sentire la puttana che mi dice:
"Tesoro, come stai?" Stavo giustappunto pensando a come hai provato a fottermi più volte la vita mia cara mammina...
"Ciao mamma, non chiamarmi tesoro e vieni al dunque, sai, sono piuttosto impegnato, la gente solitamente lavora..."
"Ecco, villano come sempre..." Pausa lunghissima, carica di tutto il finto amore del mondo, con ripetute e ravvicinate tirate di naso, dolci risucchi commossi li definirebbe chi non la conoscesse, ovvero tutto il mondo, questo e pure gli altri mondi sconosciuti se ce ne stanno, tranne me Giuliana e Al, i miei due fratellastri, per non parlare di Tano, Luca Alberto Maria e Alastair, i nostri padri, due dei quali impossibilitati a testimoniare poiché da tempo cavalcano le verdi praterie.
"...cerchi sempre di ferirmi, Dio mio, sempre. Non ci sentiamo da quanto? Tre settimane forse, e mi dici che hai da fare..." Adesso ho proprio sentito tipo un singhiozzo, come un bimbo che sta per esplodere in un pianto che è un misto di rabbia e commozione e impotenza, ma la puttana è potente, assai...
"...insomma, sto venendo da te..." Cristo e la di lui madre e molte altre divinità dei cieli o degli alberi o di ogni luogo, Manitù, dove stai ciuccio che voli, non è possibile, no, no, no. Non voglio che vieni, non sei gradita, non ti sopporto, ho troppo da fare, non ho tempo per riesumare i fantasmi, quindi interrompo la puttana, almeno ci provo...
"Ascolta, mamma, sono trop..." I singhiozzi ora lasciano spazio al gelido vento dell'artico, il ghiaccio puro, quello blu, quello che brucia arriva all'improvviso e mi butta dentro all'orecchio i ricordi surgelati...
"Taci!...Credi d'esser poi tanto migliore di me?... Io ti ho protetto, tu hai ucciso il tuo patrigno, non io! E io l'amavo! Non costringermi a dire cose che ben sai e che proprio non vorrei, oh, ma dico, perché, eh? Perché con te va sempre a finire così? Perché? Comunque, domani sono da te, arrivo col volo delle 11, sarebbe carino trovarti ad aspettarmi invece di costringermi a prendere il solito taxi, ci vediamo domani, ciao tesoro".
Cazzo.
Getto il telefono contro il muro ed esplode in mille pezzi ognuno è un lapillo di fuoco che alto nel cielo scongela i ricordi ghiacciati che ora non sono più blu ma d'un bianco accecante e si sciolgono e le lacrime sgorgano incontrollate e tremo, a cinquantanni, come un bambino, come il bambino che ho smesso d'essere all'improvviso quando Luca Alberto Maria, quella grande merda, stava sopra a Giuliana, mia sorella di quattro anni, che piangeva, sussultava, mi guardava, i suoi enormi occhi nocciola, più belli e innocenti di quelli di Bambi, erano fissi sui miei e cercavano il mio aiuto, lo esigevano, quegli occhi volevano che li salvassi, volevano essere chiusi, chiedevano di essere portati altrove, e io rimasi immobile, avrebbero potuto chiedermi di pagare l'imu per quanto ero immobile, incantato a guardare il conte Luca Alberto Maria, che s'approffitava del corpo della mia sorellastra, e non feci niente, rimasi a guardare fino a quando il conte non ebbe finito, e si voltò e mi guardò e mi dette un pugno, un pugno violentissimo, in pieno volto, e piansi sangue, e il conte andò via dalla stanza come avesse appena sorseggiato quel suo cazzo di tè del pomeriggio, e l'umiliazione più grande il tenero abbraccio di Giuliana che si diceva dispiaciuta, che piangeva non per sé ma per me, e poi lo dissi alla puttana, glielo dissi da solo, alla puttana, e la puttana mi dette una sberla, e chiamò Giuliana, e chiese a Giuliana conferma di ciò che le avevo appena raccontato, e Giuliana negò, e la puttana mi colpì di nuovo e mi portò nello studio del conte merda che si beve il tè e disse quel che avevo inventato, e sottolineò, la puttana, quell'inventato con tutti gli evidenziatori viola della terra, e disse che dovevo essere punito, e la merda che beve tè si lanciò in un sorriso da pubblicità delle protesi dentali e pregò la puttana di uscire da quel sacrario di boiserie e tappeti e mogano e porcellane e preziose tele illuminate, e la puttana uscì dallo studio, e il conte non disse nulla, schioccò la lingua e io precipitai all'inferno, e finito che ebbe, mi sussurrò all'orecchio racconta questo a mammina e sentivo il sangue colarmi lungo le gambe mentre malfermo uscivo dallo studio del conte che gusta il tè e si stupra ai bambini.
Ma non piansi allora come sto invece facendo adesso.
Cazzo, alla puttana non dissi nulla. A Giuliana non dissi nulla. A mio padre non dissi nulla. Però lo dissi a me, eccome se me lo dissi. Me lo raccontavo in continuazione, cazzo e sempre senza mai piangere, cazzo. Io non ho mai più pianto, e chi avrebbe potuto più ferirmi? Nessuno, mai più lacrime, fino ad ora.
Ovviamente vado all'aeroporto a prendere alla puttana, e altrettanto ovviamente è 'na magnifica giornata di sole, il cielo è blu come fossimo in montagna d'estate e gli alberi sono stati piazzati qua da Cezanne in persona, forse s'è fatto aiuta' da Monet. E' tutto bellissimo, è l'autunno, anche se fa un freddo della Madonna.
Cazzo, la riconosceva pure Andrea Bocelli a questa. Vengo abbracciato da un profumo spettacolare che fa da involucro a un completo di cashmere blu come al cielo di oggi e la puttana tiene pure il cappello da sopra alla testa.
"Da quanto tempo non senti i tuoi fratelli?" Cazzo sei venuta a fare, cazzo vuoi, cazzo di domande fai, come cazzo non riesci a cazzo capire che scappiamo vicendevolmente dalle nostre cazze d'infanzie che se non ci vediamo e sentiamo stiamo meglio, cazzo.
"Mamma, va bene così, stiamo bene, non abbiamo nessun bisogno di sentirci"
"Stupidaggini, solo tu la pensi così. I tuoi fratelli mi chiamano con regolarità e si lamentano con me che non li cerchi mai"
"Ovviamente ad ognuno di noi tu dici la stessa medesima cosa, giusto mammina?"
Una leggera increspatura all'angolo della sua bocca, quasi impercettibile, mi fa capire di aver visto giusto.
"Ho deciso di lasciare Alastair, è prossimo alla bancarotta, sta fallendo, non lo sa nessuno ma io sì..."
"Mai avuto dubbi in proposito" Si volta verso di me, la puttana, ed è ancora bellissima a sessantasei anni, si toglie l'immenso cappello, e ne sono felice poiché avrebbero potuto arrestarmi per guida pericolosa, si stira la gonna con una sola mano e il dispenser automatico di ghiaccio inizia a vomitare i suoi cubetti.
"Pensi di comprendermi solo perché siamo simili, tesoro" La cazza di frase fatidica. Che su di me ha un potere come alla kriptonite sopra a Superman, la mia vista s'annebbia, sento il cuore che mi pulsa dentro alle tempie, il computer del mio cervello esegue un backup e mi sbatte sopra allo schermo tutti i file più importanti ma non mi chiede, purtroppo, di modificarli anzi, mi apre in automatico il file della puttana inginocchiata in cucina, il viso striato dalle lacrime, quante ne abbiamo versate in questa cazza di famiglia, io che m'avvicino a lei, e la puttana improvvisamente smette di piangere si asciuga il volto nella lisa vestaglia a fiori e mi colpisce con forza in testa e mi dice che lascerà mio padre e che lo ha sposato solo perché era rimasta in cinta a quindici anni e che era colpa mia se aveva sposato a quel cazzo di fallito e che se poteva tornare indietro mi gettava in un cazzo di cassonetto e che io ero la rovina della cazza della vita sua e che per colpa mia lei aveva rinunciato a vivere. E mi disse che eravamo simili e che mi voleva bene e che lasciava a mio padre per il bene mio e lo faceva per darmi quello che lei non aveva avuto e io non ci ho capito un cazzo, solo che le sberle sopra alla testa fanno male.
"Che c'è, tesoro?".
Maledizione e cazzo. Non chiamarmi tesoro. Mi chiamasti tesoro anche quando il cazzo del conte del tè, dopo che m'aveva stroppiato il mio buco del culo, mi rovesciò in testa il piatto del brodo che proprio non tenevo voglia di mangiare quella sera, e tu invece tesoro mangia pensa a quanti bimbi meno fortunati di te ci sono al mondo Luca Alberto Maria ha fatto bene, ti serva da lezione eccerto che penso a quanti bambini tengono alla fortuna di non farsi sfondare il buco del culo dal patrigno che ci piace il tè e si violenta a mia sorella e mi versa il brodo caldo in capa, ma che gran culo che tengo io, cazzo!
"Che c'è tesoro, allora?".
"Niente mamma, tutto bene. Quando riparti?
"Non lo so, sai sono distrutta. E' doloroso constatare che c'è l'ennesima separazione da affrontare"
"L'ultima separazione, se così vogliamo chiamarla, qualche beneficio sotto forma di cinquanta milioni di euro pure te l'ha dato, mi pare".
"Non parlarmi in questo modo, e poi lo sai che l'ho fatto per voi, ognuno di voi ha tre milioni di euro".
"Sorvoliamo sul dettaglio che per prelevarli teniamo bisogno della firma tua...".
"Ti prego, esprimiti correttamente, mi sembra d'ascoltare tuo padre!".
"...e stai certa che io di quei soldi non toccherò mai un centesimo".
"Tesoro, non farmi questo. Lo sai, sei stato tu..."
Cazzo, tesoro non farmi questo ed ecco illuminarsi l'altro file.
Sono fotografie. Senza didascalie, senza commenti. Solo foto. La foto della puttana mentre chiede al conte che sorseggia il suo tè in mezzo alle tele preziose di farle aprire un ristorante, il conte che le ride in faccia sputandole addosso il tè del pomeriggio, la puttana indignata che solleva la preziosa teiera di Limoges, il conte che alza la testa che viene colpita dalla teiera, la puttana che porta la mano alla bocca, il conte riverso sulla preziosa poltrona di cuoio cremisi, un rivolo di sangue che delicatamente si posa sul parquet, la puttana che corre a chiamarmi, io mentre dico urlando alla puttana che bisogna chiamare l'ambulanza che quello è ancora vivo, la puttana che tanto per cambiare mi dimostra quanto mi vuole bene colpendomi con un enorme vocabolario sopra alla capa, la puttana che mi costringe a portare il suo secondo e nobile marito giù nella tavernetta, la puttana che mi dice che devo finirlo con l'accetta d'epoca, quella medievale, la foto di me che dico alla puttana che è pazza, la puttana che m'abbraccia e che mi dice che sono l'uomo della vita sua, io che mi divincolo dalla puttana, la puttana che minaccia d'ammazzarsi con la balestra, medievale originale pure quella, io che sbalestro la balestra dalle mani della puttana maldestra, io che tremo e piango mentre a sedicianni spacco in due alla capa di un conte che ci piaceva il tè e pure incularsi a una figlia sua e al figlio della moglie sua, la puttana che dice che non abbiamo finito, la puttana che mi costringere a tagliare in quattro parti uguali al marito suo, il conte, la puttana che mi dice che ce la devo aiutare a ripulire bene, la puttana che mi fa chiamare alla polizia per dirci che il conte marito suo s'è svanito, la puttana che sviene tra le braccia d'un rattuso e arrapato di carabiniere perché io tengo una certa autonomia decisionale e mi so' chiamato i carabinieri invece della polizia che è sempre meglio averci a che fa co' gente un po' più scema quando sei colpevole come al re dei colpevoli, la puttana che piange come a 'na disperata che quasi quasi ci credo pure io che sta dispiaciuta, la foto della puttana che vuole dormire nel lettone con i suoi figli, e la cazza della foto più bella di tutte, quella dove c'è la puttana che mi colpisce con uno schiaffo e m'accusa d'averle ammazzato il marito dicendomi che avrei dovuto fermarla che non era lucida che era una ferita di poco conto che avrei dovuto chiamare l'ambulanza la puttana che mi dice che per colpa mia la vita sua adesso è un schifezza, ma questa è na foto vecchia.
Cazzo, mamma quando te ne parti.
"Hai chiamato i tuoi fratelli per invitarli? Verrano da noi a cena, stasera?".
"Mamma sì, e mamma no e soprattutto, mamma da me, cazzodicasomai!".
"Li hai chiamati e non verranno?" Con un'espressione d'incredulità pari a quella d'un fanciullo a cui hanno appena detto che la befana non esiste.
"Già, e non verranno da me, non da noi!".
"Sai, a volte non ti capisco". Eccone un'altra. La stessa frase di quando m'hai fatto falsificare la firma del conte sopra a una carta e a un assegno perché non potevamo correre rischi che infatti tu, puttana, mica hai corso dal momento che poi davanti a un giudice con i baffi e puzzolente di sudore ci sono andato io a dire che avevo personalmente visto a quello che ci piace il tè e che tiene l'hobby di fottersi ai ragazzini a prescindere dal sesso mentre che firmava quelle carte che mo' si guardavano il giudice puzzolente.
"Se sono venuta qui, comunque, c'è un motivo ed è serio".
"Ovviamente, mammina. Dimmi, sei in missione per conto del Signore e devo andarti ad accoppare il Papa?".
"Tu lo sai, sui tuoi fratelli non ci si può contare, soprattutto su Al".
"Mammina, ti secca se ti ricordo che Al era sul punto di dire sì lo voglio e tu ti sei gettata con le mani ad artiglio sopra alla faccia di quella povera Elisabeth e dopo che l'hai sfregiata con le unghie ti sei lasciata svenire sopra all'altare col prete che moriva dalla voglia di farti alla respirazione bocca a bocca Al in preda allo shock e un matrimonio andato a puttane?"
"Sono sua madre e l'ho fatto per il suo bene, quella poco di buono se lo sposava per i soldi".
"Eccerto tu tieni un certo tipo d'intuito certamente certificato".
"Risparmiati i tuoi giochetti di parole per quella robetta insulsa che vai scrivendo, che ti pubblicano solo perché la casa editrice è di Alistair"
"Oh mammina, mammina grazie per avermelo ricordato".
Gli ultimi raggi di sole riscaldano il volto di mia madre intenta a sorseggiare un negroni perfettamente preparato poiché se l'è preparato la puttana che adesso ha il viso del colore dell'ambra e chiamando a raccolta tutto il fascino immenso suo mi dice:
"Ho bisogno di te".
Cazzo di cazzo, ho bisogno di te. Ho bisogno di te, tesoro. Quando me lo disse eravamo a Manhattan, New York, America. Alistair stava organizzando un imbroglio di quelli suoi. Teneva bisogno di uno a cui intestare cento milioni di dollari che dovevano sparire. Non ci sono problemi, è 'na faccenda legale, e io mi sono fatto sette mesi di galera a New York, puttana cazzo d'una mamma puttana che ha bisogno di me.
"Ho detto che ho bisogno di te!".
"Ti ho forse mai negato qualcosa, mammina?".
"Arrgh, credi che non potrei ancora prenderti a sberle, eh?".
"Al contrario, non nutro nessun dubbio in proposito anche se ricordo d'averti sentita dire d'abbracciare il buddismo, ma potrei sbagliare. Faccio confusione con i ricordi".
"Devi fare una cosa per me". Una bellissima donna, ancora estremamente affascinante nonostante i suoi sessantasei anni, dritta ed elegantemente fiera piazzata davanti a me. Chiedimi tutto, cos'altro mai potresti farmi, che altro può mai esserci.
"Pare che Al abbia scritto un libro. E' la storia della nostra famiglia..."
"E che vuoi che sia, Al è arrivato quando il l'uragano era passato, sarà un romanzo rosa al confronto con quello che potrei scrivere io..."
"...se glielo pubblicano siamo tutti rovinati..."
"...mammina, forse tu, tu sola ne saresti rovinata, pensa a tutte le tue ladies..."
"...Al è a conoscenza di alcune partite contabili a me riconducibili grazie alle quali Alistair si salverebbe e per me si aprirebbero le porte del carcere, è per questo che devo divorziare prima e tu devi convincere Al a non pubblicare il libro".
"Bene, d'accordo. Giuliana l'ammazzi tu o dovrò occuparmi di lei anch'io? Quando la finirai? Quando cazzo ammetterai d'essere una fottuta pazza?".
"Devi chiamare Al e farlo venire qui. Adesso. Qui e ora".
La puttana non è pazza, il pazzo sono io che chiamo Al e Al viene e Al si porta appresso il manoscritto e legge alcune cose che la puttana ha fatto e che sarebbero incredibili se solo non si trattasse di mia mamma la puttana e Al poi dice che ha già un accordo con un editore e la puttana adesso è viola e Al dice pure che sa quel che ho fatto io che lo ha sempre saputo e che sa che Giuliana è andata a letto con Alistair ovvero con il padre di Al e io inizio a ridere pensando a una qualche cazzo di soap uruguaiana che quelle argentine so' fatte meglio e la puttana sbraita e Al piange istericamente e la puttana dice che gli ordina di non farlo e Al mi guarda e poi guarda la puttana e io vorrei chiamare Giuliana per chiederci come scopa Alistair e mi giro per prendere il cellulare e quando mi volto di nuovo vedo alla puttana che tiene un buco in mezzo alla fronte e Al tiene 'na pistola in mano e io ci chiedo che cazzo fai Al e Al mi risponde sparandomi tre volte dentro alla pancia, ma io non piango.
Puzzo, io puzzo. Mi sono sempre impegnato a sembrare uno a posto, che deve essere stimato e rispettato, e invidiato. Un uomo serio, soprattutto. Mi sono così tanto impegnato, calato nella parte, che si sente la schifa della puzza per il tanto impegno. Che io devo sembrare un uomo esemplare.
Sono gravido di perbenismo e falsità. Ho dovuto portare avanti una gravidanza difficile dentro al cervello e facevo ecografie a più non posso per controllare che tutto procedesse per il meglio. Mica facile crescersi il male dentro al corpo proprio.
I primi tempi mi pigliavano certi attacchi precisi di nausea come quando il nascituro tiene un sacco di capelli in capa, che si sa, se il nuovo arrivato tiene i capelli la puerpera vomita di brutto. Questa è scienza, e io tenevo a Bob Marley co' le treccioline dentro alla testa mia.
Ed è così che poco alla volta e con maniacale precisione ho abituato alla coscienza mia a non cedere alla tentazione di vomitare fuori tutto il male che mi crescevo dentro.
Ho fatto le cose per bene, mi sono circondato innanzitutto delle persone giuste, quelle ricche, assai. E andavo sempre più selezionando, e più selezionavo, più si faceva sofisticato il metodo di scelta circa gli accompagnatori miei. Ho infatti capito che oltre ai figli dei ricchi mi dovevo fare amico ai figli dei potenti, e più tenevo amici ricchi e potenti più le nausee si andavano via via attenuando.
Ho iniziato ad aver un certo tipo di reciprocità con il male sotto a tutte le sfumature sue. Fino a convincermi che tutto mi era consentito e tutto era vero e giusto. Tutto quello che facevo era finalizzato allo scopo mio tant'è che, avendo deciso che mi dovevo sposare a miss college, ero convinto d'essere proprio innamorato di Irma.
Dovevo sposare a Irma non solo perché quella era uno schianto e ci moriva appresso tutto il liceo e svariati altri istituti ma anche perché Irma-miss-college era figlia di suo padre, l'avvocato D'Antonio. Il penalista più famoso di tutto il meridione, e anche il più ricco, e non solo dei penalisti tanto per la reciprocità di cui sopra.
Le nausee della coscienza hanno preso a scemare, pur essendo io intelligente assai, quando, fidanzatomi con la bell'Irma, venni folgorato dalla passione per la giurisprudenza e, mano a mano che superavo gli esami universitari come a Stennmark si superava i paletti degli slalom, quelle, le nausee, se n'andavano a fanculo.
Meno ero preparato più alto era il voto che m'appioppavano, sempre pregandomi di salutare ossequiosamente al suocero mio poiché la reciprocità col male è puntuale e dotata di una certa educazione. E più mi salutavano e più alti erano i voti e meno avvertivo alle nausee.
Ovviamente mi sono laureato con tutte le lodi finanche quelle ultraterrene per le quali vi fu la personale intercessione del Cardinale Ripotto che presenziò al pranzo della festa di laurea dal quale se ne andò con diversi chili in più da sopra al proprio corpo anche se non li sentiva poiché felice si stringeva 'na bella busta di preziosa carta avorio filigranata contenente altra carta filigranata ancora più preziosa, assai. Di cui mi fece restituzione con un certo tasso d'interesse quando venne da me per difendersi da certe accuse infamanti, il Cardinale.
La reciprocità esigeva ovviamente che lo spread tra la mia preparazione e quella invece richiesta per l'esercizio dell'avvocatura fosse 'na roba da far impallidire tutte le agenzie di rating del pianeta.
Ma, forte del fatto che le nausee erano praticamente cessate poiché nel cesso pure vomitai ai tre amici miei più cari Ciro, Ippolito e Pasquale ancora alle prese co' l'esame di diritto privato dacché, ingenui, erano innamorati e fidanzati co' le figlie di nessuno, io ero convinto invece d'essere un grande avvocato. E cominciavo pure a fare le cause, e a vincerle, cazzo.
E da avvocato sempre vittorioso in tribunale ecco mi sposai a Irma mia convinto d'esserne innamorato. Un matrimonio da cinema, a Capri, spendendo una cifra da kolossal o da vergogna a seconda dei punti di vista sebbene non me ne vergognai affatto anche perché fu tutto a spese dell'avvocato.
E così imparai a fare surf, surfavo cavalcando onde via via più grandi nell'oceano del malaffare ma sempre mantenendo quell'aura di rispettabilità e cominciavo anche a farmi delle scopate inimmaginabili poiché tenevo il fascino del nome, dell'eleganza, di una bellissima moglie, che non guasta mai tenere alto il livello dell'invidia che genera confronto e, soprattutto, dei soldi.
Il dolore mi era sconosciuto.
Siccome intelligente, assai, compresi che per essere un avvocato penalista di successo, in Italia, non dovevi conoscere i codici ma la matematica. Infatti, ho vinto duecentodiciannove cause facendo le chicane coi rinvii e le prescrizioni.
Il mio humus, in virtù della reciprocità col male, è la puzza. Puzza di merda. Merda nauseabonda di tutti i delinquenti che ho provveduto, con le mie abilità di calcolo, a far rimanere in circolazione per proseguire a delinquere.
E io mi difendo ai criminali, alla feccia. Mi muovo nella cacca e stringo mani che hanno impugnato armi, e venduto droga, e siglato truffe, e autorizzato soprusi, e rovinato famiglie, e rubato, e stuprato, e imbrogliato, e ucciso, e non hanno mai conosciuto giusta punizione grazie alla mia abilità con rinvii e prescrizioni. E mi piglio le parcelle, in contanti. Sempre.
E, fiero, non ho mai conosciuto né sconfitte né dolore. Anzi.
Ho invece conosciuto la felicità, perché ho avuto una figlia bellissima. Bellissima già appena nata che forse sta male dirlo ma i neonati so' tutti brutti invece Carola mia era uno spettacolo, da guardare a bocca aperta che t'apriva il cuore guardare quella boccuccia a forma di cuore.
E in quei giorni ho dimenticato tutto il mondo e nel mondo c'era da fare un rinvio che non ho fatto per cui alla mia felicità per Carola, per la reciprocità, i giudici hanno risposto predisponendo un soggiorno di diciotto anni nelle patrie galere per Gino Battoni un pluripregiudicato che meritava certamente una pena ben più severa.
La prima sconfitta, e che sarà mai, fondamentalmente anzi ma chi cazzo se ne fotte, inoltre la parcella, ovviamente, me l'aveva già pagata per cui vattene in galera e non scassare il cazzo, rimembrando il primo suggerimento dell'ormai defunto suocero mio "Avere a che fare con i delinquenti tiene i suoi vantaggi, primo fra tutti quello che stanno pieni di soldi per cui tu la parcella te l'incassi sempre e in contanti. Inoltre, loro lo sanno che so' colpevoli, quindi puoi solo salvarli e diversamente affanculo e basta".
E ancora oggi, dopo diciottanni precisi, quella della condanna di Battoni è stata l'unica sconfitta della mia carriera ma è concisa con la nascita di Carola di cui oggi è il compleanno, per cui ma tanta cazz!
Insomma l'imperialismo architettonico del mio cervello deve dominare i cazzi degli esseri inferiori, criminali e ignoranti. E sta piovendo a dirotto, e la pioggia sciacqua le memorie dal marciapiede della vita o almeno così diceva Woody Allen.
E stiamo qua, alla festa dei diciottanni di Carola. E' vero che è 'na festa di ragazzi ma mica potevo manca' di chiamarmi a tutta la crema mia, per cui è un trionfo del malaffare, la fiera degli sporcaccioni, dei corrotti, dei politicanti, dei truffatori, dei questuanti e io ne sono l'anfitrione. Puzziamo tutti da fare schifo e nessuno si schifa della puzza semplicemente perché è il nostro habitat, ecchécazzo.
"Papà, devi venirmi a prendere dal parrucchiere che piove assai e non mi voglio rovinare l'acconciatura" eccerto tesoro mio, unico appiglio al bene che tengo, mo' vengo gli invitati sono già tutti qui, così rispondo a Carola mia e, dopo aver spiegato ai puzzoni che vado a prendere la mia bambina dal parrucchiere, piglio l'ombrello e le chiavi della macchina e vado.
Il dolore è l'unica cosa vera.
Appena esco dal portone, nel mentre faccio per aprire l'ombrello che 'sti cazzi di cosi mai che s'aprono quando ce lo ordini, mi piglia un fortissimo dolore alla capa e poi è tutto buio e luce.
Mi svegliano delle grida strazianti, come quando ammazzano un maiale, è 'na roba insopportabile, un rivolo di sangue mi scorre dalla tempia fino in bocca sì da sentirne il sapore ma non provo dolore perché quelle urla non mi consentono di sentire null'altro che sé stesse si sono personificate e adesso tengono le sembianze di Carola che è stuprata da Gino Battoni e io mi getto verso di lui ma degli spari mi fanno cadere sulle mie ginocchia poiché è sulle mie cosce che i proiettili appena sparati hanno terminato la loro corsa mentre le urla di Carola si lanciano verso l'infinito pronte a stordire chiunque provi a fermarle tranne me che le percepisco ben distintamente e così come ben distintamente vedo Battoni dimenarsi dentro la mia bambina e ancora e ancora e adesso ha un coltello in mano e io come per magia vengo sollevato dai capelli e il mio viso è ora appiccicato al viso tumefatto dell'angelo mio grande e Battoni coi calzoni calati adesso infila con inaudita facilità un enorme coltello nel collo di Carola dal quale come da un vulcano in piena eruzione fuoriesce un fiume di sangue che finalmente m'acceca ma non mi rende sordo poiché sento chiaramente Battoni dire "Avvoca' tanti auguri di buon compleanno per 'sti diciottanni d mmerda, vafangul a chi te mmuort' fetent".
E Battoni non fa ciò che speravo facesse, Battoni non m'ammazza.
Il dolore è l'unica cosa vera, sentite a me quel qualcuno tiene ragione.
Sono stufa e oggi mi faccio il giro e ve lo dico a tutti, quanto sono stufa. Vi vengo a trovare a uno a uno. Camilla vostra si veste di chiffon e foulard e nastri e pizzi e viene in visita.
Ci metto tanto, e tanto, ma tanto. Poi però quando prendo una decisione è quella e manco Gesù Cristo in persona mi può far cambiare idea, ammesso che tiene voglia di venirmi a fare cambiare idea.
Roberta Flack canta dal vivo nel mio cervello e i neuroni ci sbandierano gli accendini accesi, tutt'un trionfo di nero e giallo e viola e blu, tipo 'na roba romantica, assai. Canta come un usignolo, Roberta. E chi l'ha mai sentito cantare, un usignolo. Che poi, sempre n'uccello è. E allora, lontano. Lontano dagli uccelli. Volatevene via da me. Siete silenziosi. Sono stata troppo a lungo in silenzio e mica c'è bisogno di scomoda' a Rousseau per capire che non è una cosa buona, il silenzio assoluto.
E avvolta dalla nebbia mo' vi vengo a dire a tutti tutte le cose che tengo da dirvi. Tante cose.
Nella vita mia non ho mai fatto quello che volevo io, mai. Manco una volta.
Nebbia e nuvole e freddo e vento.
Il primo che ce lo vado a dire è mio papà. Papà, tu ti vergognavi del lavoro tuo, mica io. Tu ti sentivi sempre triste e fuori posto, mica io. Per me era un lavoro come un altro, che pure ci ha consentito di campare più che bene, mi pare. Coi compagni di scuola si finiva sempre per fare gli stessi giochi. A casa di Gianna giocavamo al dottore nello studio di suo padre che era medico. A casa di Vittoria giocavamo al negozio e a casa di Lorella giocavamo alla sarta in mezzo alle stoffe della mamma.
Da noi giocavamo alle condoglianze, almeno fino a che Gianna non s'andò a scegliere 'na bara già occupata. Papà non divaghiamo, il problema non era Da Minguzzo Crociere Eterne. Tutto sommato, uno slogan come un altro. Il problema è stato che non m'hai fatto aprire la pizzeria. M'hai costretta a prendermi la laurea. Però dovevo viaggiare, mentre le amiche mie se ne so' andate a Roma. E comunque io pure me la sono presa la laurea.
Poi ti ho detto che volevo provare il concorso in magistratura ma tu hai detto che era meglio che me ne andavo a fare pratica dentro allo studio di zio Rocco. Zio Rocco, l'amico tuo, teneva l'impressione che mi doveva avviare a n'altra professione. L'esercizio dell'attività forense non mi credevo che teneva a che fare con i fori miei. E forse sbagliai a non dirti niente. E forse sbagliai a non darci 'na sberla a zio Rocco quando si slacciò i calzoni e mi disse che ce lo dovevo prendere in bocca. Tu facesti brutto quando ti dissi che m'ero licenziata. E allora non dissi nulla intorno alla confusione che faceva zio Rocco sull'uso della lingua dentro all'avvocatura.
E papà, non ne parliamo di quando mi hai detto che mi cacciavi di casa se mi fidanzavo co' Francesco. Francesco che era dolce come lo zucchero filato della festa del paese. Che abbassava sempre lo sguardo tanto che era timido. Che mi voleva bene ed era tenero e impaurito come a un cucciolo di cane trovato in mezzo a una strada. Ed era sempre pulito e profumava di fiori anche se facevo lo spazzino. Ma tu, papà, dicevi che non andava bene. Che non solo era uno spazzino ma che era pure povero, assai. Ma papà, la gente muore in continuazione e tu i soldi li tieni e non ci sarà crisi che tenga nel settore tuo che oltretutto manco ci hai alla concorrenza. Macché, niente Francesco.
A Canio mi hai costretta a sposare. Papà a me mi veniva da piangere solo a chiamarlo. Non ne parliamo poi che le domeniche e tutte le feste comandate ce ne dovevamo andare alla casa loro. E meno male che mamma già s'era andata a fare da tempo 'na crociera di quelle che organizzi tu. E io mi dovevo sedere vicino al padre di Canio, zio Rocco l'avvocato. Che era come a nu polipone. Non facevo a tempo a spostargli nu tentacolo che subito ce n'era n'altro sopra a qualche zona del corpo mio.
Papà, non ce la faccio più. E quindi so' venuta a dirti 'na cosa. Papà vai a fare in culo, secondo me tu la vita mia me l'hai rovinata. Fanculo papà, te lo so' venuta a di'.
Ah, e finalmente. Ma ancora non si vede niente. Mi piace la nebbia.
Canio, mo' vengo a dirti un paio di cose pure a te. A me non mi interessa più di tanto dove vai a mettere qual tuo cosino piccolo e poco rigido. L'esperienza mia è limitata, assai. Ma dodici centimetri, che poi la misurazione la fai partire da un punto che proprio non saprei ma comunque diciamo dodici, credo che in giro ci sia di meglio. Ma in giro pure ci sta a un sacco di gente che s'accontenta, ci mancherebbe. Non ho sentito il telefono che non c'era campo che l'avevo lasciato in macchina che non potevo rispondere che era scarico che non ho trovato la chiamata che poi ti spiego che è meglio che ci sentiamo dopo.
Sinceramente, quello che mi dà fastidio è che tu pensi che so' scema. Manco ti voglio parla' della mancanza di rispetto. Che ti fai bello davanti agli amici. Che dici che tieni le cene di lavoro. Le conferenze. La cosa che poco poco mi innervosisce è che spesso, senza che manco te lo chiedo, tu mi chiami e mi dici di tenere a una in mezzo alle gambe tue co' quella che sente, ride e si diverte e io che ho sempre fatto finta di niente.
Canio, tu a me non m'hai fatto godere manco una volta. Io godo per i fatti miei, tengo un sacco di fantasia e una certa manualità e mi procuro da sola il piacere che tremo proprio ed è bellissimo. Ti dirò, manco gli abbracci mi mancano più. In più ti lavo alle mutande che spesso so' pure scacazzate, ti stiro le camicie che ti vai a fare sbottonare da signore che s'accontentano di poco e ti faccio mangiare pure come a un porco. Senza averti mai chiesto soldi, oltretutto.
Canio una volta avevo preso il coraggio e volevo parlarti e m'hai detto che era meglio che non cominciavo proprio che tanto non m'avevi mai picchiata. Ti ringrazio Canio che non mi hai menata.
Canio, ascolta a Camilla tua. Vattene a fanculo. Canio vafangul va' va'.
Mica è stato così difficile tutto sommato. Ancora non si vede niente, ma non è stato difficile. Trentanni a sopportare e cinque minuti per mandare a fanculo. Pure le parolacce riesco a di'.
Gianna, amica mia. Bugiarda. Falsa. Stronza. Invidiosa. Gelosa. Ciuccia. Ricca. Gianna, che tiene 'na parola di merda per tutti gli umani della terra. Gianna, che t'ingioielli per venire alla casa mia. Gianna, che giri con i fogli di cinquecento euro dentro alla borsa ma che sei infelice che io che colpa ne tengo. Gianna, che ti pigli i dodici centimetri di Canio dentro al corpo tuo dentro al bagno di casa mia.
Gianna, vafanculo. Gianna, vafangul, va' va'.
E' un mantra. Niente ancora vedo, ma 'sti vafanguli so' precisi come a un mantra.
Padre Vincenzo, fanculatevi pure voi e la filosofia della sopportazione.
Rocchino, figlio mio ti dico la verità e manco mi sento in colpa. Doverti chiamare col nome di quello che voleva che ce lo ciucciavo dentro allo studio suo mica facile è stato sai, no no. Però, Rocchino te la faccio breve. Io sono tua madre, no la tua cameriera. Ti voglio dire che non sta bene che rompi i vetri della casa tirandoci il ferro da stiro quando vedi che la camicia che ti volevi indossare ancora non è pronta anche se me l'hai gentilmente ordinato di stirartela appena due minuti addietro. In più col pubblico di amici tuoi tossici come a te che assiste agli ordini di stiro e alla rottura dei vetri. Rocchino, io sono mamma tua e tu mamma mi devi chiamare non quella là. Tu non devi averci a questa confusione dentro al tuo cervello. Rocchino, se nel tè che ti porto a letto alle dodici del mattino ho dimenticato di farci sciogliere allo zucchero tu non c'è bisogno che mi fai allo shampoo in testa con l'infuso al limone che i miei capelli già biondi sono.
Rocchino, figlio mio ma vattene a fanculo, vafangul va' va'.
E finalmente s'alza pure la nebbia, era ora. Stavo quasi per mandare a quel paese pure a questo altissimo ponte. Guardo giù. Il ponte non si merita che ce lo mando affanculo.
E' alto, assai che è alto. Sù Camilla, dai vattene a fanculo tu adesso. Per una volta nella vita fai a una cosa come pare e piace a te.
Salta, sù...venite adesso uccellacci, accompagnatemi in questo volo che adesso la nebbia non c'è più.