mercoledì 12 ottobre 2016

The Artesian, Roux At The Landau and The Langham London



         Dicono che nessuno può farcela da solo ed è per questo che io sto sempre da solo. Semplicemente, non ce la voglio fare. E poi, da solo. Non sono solo. Sono perseguitato dal mio cervello il quale mi dà perennemente torto. Secondo lui, ho sempre torto. Non siamo mai d’accordo su niente. Mai. Mi basta la musica, e la mia perenne malinconia. Ma che capisci tu, quella è la nostalgia. Nulla a che vedere. E canticchio Leave A Tender Moment Alone di Billy Joel. Ovviamente sono l’imperatore degli stonati ma le parole le conosco. Tutte. Di tutte le canzoni che canto. E mi perdo, sempre e dovunque. Non solo per le strade, quello poco male. Mi perdo ogni volta in qualunque ragionamento. Anche perché non vado mai d’accordo con il mio cervello. E poi d’altronde chi non è solo? Quelli che dicono ho tanti amici, su Facebook ho 3479 amici. Ma davvero? Che bravo, e fortunato pure. Manco ti voglio rispondere, idiota. Comunque, il mio cervello ed io non siamo una cosa sola e non andiamo d’accordo. Per niente.



Tranne oggi. Una meravigliosa giornata di fine Settembre, a Londra. Odio il caldo, proprio non lo sopporto. Il caldo è al secondo posto nella classifica delle cose che non sopporto. Una lunga, lunghissima classifica. E il caldo è preceduto in questa speciale classifica solo dal mio cervello. E oggi, io e il mio cervello, siamo incredibilmente d’accordo sul fatto che è davvero troppo caldo. Le cose che non t’aspetti ti sorprendono sempre. E certamente non t’aspetti il sole e il cielo azzurro come l’oceano visto dall’alto a metà Settembre a Londra con 30 gradi di temperatura. E’ sorprendente. Così come mi ha sorpreso la telefonata di Joan.

“Ciao Luca, sono Joan Keansy, vivo a Londra da dove ti sto chiamando…”

Riattacca deficiente, figurati se da Londra chiamano a te e per cosa poi. Il mio cervello ha il garbo e la gentilezza che contraddistinguono gli ufficiali giudiziari. Solo, è molto più determinato di tutti gli ufficiali giudiziari del mondo.

“…siamo amici su Facebook…” Ecco, questo dovevo sapere “…dal tuo profilo sono risalita al tuo sito e le tue fotografie mi hanno letteralmente stordita. Mi piace il tuo modo di raccontare storie per mezzo delle immagini…”.

Da Londra a Potenza, riattacca deficiente, è uno scherzo, chiudi il telefono, stupido! Con il passare degli anni ho imparato ad evitare il contraddittorio con il mio cervello. Lo faccio parlare anche quando ha palesemente ragione. E canto Muskrat Love degli America.



“…e vorrei farmi fotografare da te. Ho visto che di base sei in Italia, verresti a Londra? Qual è il tuo onorario? Un giorno di shooting dovrebbe essere sufficiente, giusto? Si può fare?”

Se fosse vero, e certamente che si può fare. Ci vai anche a piedi a Londra a fare le foto a Joan. E le porti pure i fiori. Ma siccome non è possibile che un qualunque essere umano chiami te, brutto deficiente, a fare delle foto a Londra ecco allora che ti intimo, all’istante, di riagganciare. Chiudi il telefono. Non ci sta bene adesso però canto lo stesso Love Lost dei Temper Trap. 

Ora, il mio cervello in questo caso ha ragione. Impossibile dargli torto. Però, tanto per fargli un dispetto assecondo la fantomatica Joan anche perché a differenza del mio cervello sono una persona assolutamente gradevole e gentile.

                                                          www.lucalancieri.photo

“Ciao Joan, sono davvero contento che il mio sito ti piaccia. E non c’è nessun problema a venire a Londra. Basta concordare le date e l’onorario, di cui mi farai avere in anticipo la metà del totale assieme ad un biglietto andata e ritorno per Londra con partenza da Napoli”.

E adesso ci saranno grasse risate. Fuochi d’artificio nella notte. Luna piena che illumina il cielo nero della tua inarrivabile stupidità. Quando il mio cervello straparla e nella convinzione d’offendermi si sofferma sulle mie scarse capacità intellettive, ecco mi sento come Tardelli dopo il gol del 2 a zero al Mundial dell’82, corro e urlo posseduto levando le braccia al cielo con i pugni chiusi.  E qua Disco Inferno dei Trammps ci sta bene. Caro cervello se sono un deficiente fatti due conti.

Nessuna risata echeggia dall’auricolare del mio cellulare. Avete ragione, è vero. Gli auricolari sono insopportabili. Contribuiscono a diffondere il virus della stupidità in un mondo che non ha affatto bisogno di ulteriore stupidità. Il fatto è che gli auricolari per me rappresentano l’invenzione di tutte le invenzioni. Chi ha inventato gli auricolari è un genio più genio di quello che ha inventato la doccia e gli occhiali da vista. Poiché indossando gli auricolari io posso parlare ad alta voce con il mio cervello senza che nessuno creda che io sia pazzo. Certo non mi azzardo a canticchiare e ti prego Chet ora Almost Blue non funziona. Digressioni, perdo sempre il filo del discorso. Come quando vado in giro con la mia macchina fotografica. La missione è di fotografare una galleria d’arte piuttosto che un monumento mentre io mi soffermo su un vaso di fiori dietro una tenda bianca e mi sembra che i fiori discutano del più e del meno con i ricami della tendina. E poi mi chiedo da quanto tempo quella tendina è lì. E mi accorgo che la tenda è attratta dalle belle mani di quella signora intenta a sorseggiare il cappuccino nel mentre le bustine di zucchero sono incantate dai fiori che adesso mi sembrano distratti dai raggi di sole che fanno capolino proprio nel momento in cui tra i rami di quel magnifico albero, e da quanto tempo sarà lì quell’albero…scusate, è più forte di me, wish we could turn back time to the good old days i Tweny One Pilots la sanno lunga. Siamo circondati da tanta struggente bellezza e non ce ne accorgiamo poiché siamo distratti dalle brutture delle nostre basse cattiverie. Il mondo è impazzito e noi non ci ribelliamo. Hai voglia a cantare Imagine caro John. Anche a me piace più Stepping Out ma per il semplice fatto che me l’hai proposta tu mo’ vado avanti con Mind Games, ecco.

Dacci un taglio, deficiente. E ti ricordo, deficiente, che non emetti una fattura da sei mesi. E purtroppo nessuno più paga in nero. Deficiente, tu sei davvero disturbato.

E l’errore del mio cervello fu clamoroso. Perché Joan mi fece venire voglia di riappacificarmi con il genere umano. Ero un bambino figlio unico di una famiglia ricchissima nel giorno di Natale. Un bambino viziatissimo e capriccioso. Che apriva regali imbarazzanti. Per cui, tutto sommato, Chris Rea che Driving Home For Christmas pura va bene.

London Calling, The Clash. Che scontata banalità.

Una magnifica giornata di sole nella Waterloo Station e la mia testa è trascinata all’indietro dal mio collo nel mentre la bocca è spalancata aperta e le mie gambe sono come possedute da un navigatore impazzito incapace di indirizzarle verso una meta certa. Questo posto è bellissimo. E il sole è ovunque. Vorrei fermare la gente e chiedere a tutti ma perché correte? Possibile che nessuno guardi in alto? Perché? Perché nessuno sorride? E, più di tutto, Frank Sinatra co’ Autumn Leaves non va bene adesso.

Brutto deficiente, cerca di assumere un’aria intelligente. Vai al pannello dei treni, cerca di capire quale treno devi prendere, devi andare ad Oxford Circus, vedi di sbagliare sai, deficiente. Muoviti, e chiudi quella bocca maledizione! Il tono della voce del mio cervello era superiore, e di molto, a quello già decisamente alto di molti calabresi sui treni italiani dove inutilmente gli altoparlanti invitano ad abbassare suoneria e voci. Tra Show And Tell e Touch And Go non so mai scegliere. Telefona ad Al Wilson e chiedi a lui. Magari.

Che cosa potrà mai esserci di bello o perlomeno interessante in un pulsante dello stop sulle scale mobili della metropolitana questo puoi saperlo solo tu, brutto deficiente d’un fotografo del piffero. E spostati, che qua si sta tutti sulla destra, fai passare, deficiente. Ascolta, secondo te il riff di London degli Alessi è roba di George Harrison o no? Hai bisogno di aiuto.



Sono nel treno della metropolitana di Londra, direzione Oxford Circus. Cerco tracce che mi consentano di affermare quanto sciatti e sporchi siano gli inglesi. Sempre ubriachi e poco puliti ed ineleganti. Le donne tutte con le gambe grosse. Quanti anni avrà questo treno? Nessuna macchia sui sedili, molti auricolari, nessuno ti fissa, nessuno alza la voce. Persino i finestrini sono puliti, sarà perché nella metropolitana non piove? Subway, Bee Gees…alzati e sculetta se hai il coraggio, dai.

Sarà forse che sei un povero provinciale pieno di pregiudizi, deficiente?

Poi, il più bel paio di occhi verdicelesti presero a guardarmi. Heartlight, Bacharach l’ha scritta per Neil Diamond.

Deficiente: hai presente, vero, il fatto tipo sono responsabile per ciò che ho detto, e sono disposto anche a ripeterlo, ma non sono certo responsabile di ciò che hai capito? Ecco, deficiente.

Come sempre, il mio cervello sbaglia. Adesso quegli occhi di una bellezza struggente hanno accennato un sorriso. Sì si, bravo, How Do You Keep The Music Playing di James Ingram con Patti Austin. E non era meglio Come To Me? Pensa a te, sparisci.

Finiscila, non solo perché non è vero. Guardati nei vetri così puliti di questa metropolitana, cosa vedi? Un vecchio di cinquantanni, ormai quasi senza capelli e quei pochi rimasti tutti bianchi, con una pancia spropositata e un enorme macchina fotografica appesa al collo. In pratica, un italiano assolutamente ridicolo con la presunzione di disquisire intorno alle carenze degli inglesi. James Taylor si siede al mio fianco e canta Her Town Too.



Un paio di ballerine nere, calze chiare, un vestito rosso appena sopra al ginocchio che però lascia intravedere un paio di bellissime e lunghe gambe accavallate. Un giacchino a piccoli motivi rosso bianco e oro, presumibilmente Chanel, trucco leggerissimo, un ovale sormontato da milioni di efelidi che paiono farfalle  intente a rincorrersi intorno ad un prato di papaveri rossi come le sue labbra, capelli biondi e legati e il più bel sorriso che abbia mai visto. Il mare nei suoi occhi mi viene incontro e bagna ripetutamente la mia anima senza soluzione di continuità. Come no, certo: e il pianoforte che introduce Have I Told You Lately di Van Morrison. Sparisci. Ho voglia di diventare molto molto social.

E’ una bella donna. E’ una donna meravigliosa, gli aggettivi sono una mia prerogativa. Sorvolo, il fatto è che non è vero. Non è vero che ti ha guardato, non è vero che ti ha sorriso. Deficiente, e forse anche pazzo. How Much I Feel degli Ambrosia andrebbe fatta ascoltare in tutti gli asili del pianeta. 

Ora parla al cellulare, provo ad ascoltare, non ci riesco, gli inglesi a Londra non parlano inglese. Parlano un’altra cosa, è una lingua a parte. Si sente, su tutte, solo una voce. Uno che parla in fondo alla carrozza, urla qualcosa apparentemente nel vuoto, gesticola convulsamente, ovviamente sta parlando italiano, è un italiano. Sarà calabrese, Gesù.  Drinking in L.A. Bran Van 3000.

Deficiente, lei parla inglese, sei tu che non conosci l’inglese e credi di poterlo parlare e ti rendi conto, adesso, che neanche lo capisci. Deficiente. E cerca di concentrarti che tra un attimo dobbiamo scendere, stiamo per arrivare a Oxford Circus. E non pensare a Paul Weller che altrimenti qua facciamo notte. Solo una, Have You Ever Had It Blue. Tuffati come a Dibiasi sotto la metropolitana di Londra, dai, prenditi i tuoi cinque minuti di gloria. Non puoi. Cosa? Non puoi, qui non possono perdere tempo, i treni non si possono bloccare solo perché uno si è tuffato sui binari. Semplicemente, non è possibile. Ci sono le barriere. Got to be a joker he just do what he please…

Maledizione, non riesco a sentire, a capire artisian verso le 11:00 mi pare non lo so. E il treno si ferma devo scendere. Mi giro per guardarla l’ultima volta e non c’è. L’ho persa. Perché, l’avevi trovata? E’ in piedi davanti a me, mi precede nello scendere dal treno, è più alta di me.

Deficiente, non ci vuole poi molto ad essere più alti di te. Finiscila. E ti ho visto, le hai guardato il culo. Drive, The Cars.

Usciamo ad Oxford Circus, il cielo è blu che manco Domenico Modugno a Capri. forse potevo vestirmi meglio. Senza dubbio. Ashford & Simpson, una a piacere, una qualunque.

Regent Street è la più bella strada del mondo ma non so se Time dei Culture Club…

Deficiente, pazzo, dove vai. Hai appuntamento con Joan ad Oxford Circus, dove vai. Luca, Lucaaaaa. Sandokan cantata da quelli che non mi ricordo e poi Roger Moore dei Persuaders.

Forse non è chiaro. Il capo sono io. E il capo oggi segue il sorriso più bello del mondo lungo la strada più bella del mondo nel posto dove il cielo è il più bello del mondo.

Ha l’andatura decisa, il passo veloce e sostenuto, lo sguardo avanti a sé. Faccio fatica a seguirla.

Perché hai la panza, perché sei vecchio, perché sei stupido. Hai un appuntamento, girati e torna indietro sei ancora in tempo.

Un susseguirsi di palazzi meravigliosi, non troppo alti e decisamente non bassi, elegantissimi. Non un pezzettino di carta per terra, nessuna scritta sui muri. I marciapiedi di Roma sono un cimitero a cielo aperto di chewing gum sputati a terra ai quali non viene data alcuna sepoltura. A Londra non si vendono chewing gum, evidentemente.

Deficiente, sei già in ritardo di quindici minuti, torna indietro, Joan ti ha già pagato.

Adesso di fronte a me c’è il palazzo della BBC. Lei costeggia un bellissimo edificio pieno di fiori rossi e targhe d’ottone, ottone  così lucido che pare l’oro pacchiano dei Rolex nelle vetrine tutte uguali di tutto il mondo. Come si fa a spendere tanti soldi per il nulla quando ci si potrebbe comprare un Patek Philippe. Ma d’altronde c’è chi dice che Ligabue e Vasco Rossi so’ rocker, poveri Bruce e Tom. Ecco, Jersey Girl, tutte e due le versioni.

Luca, ascolta. La faccenda è seria. Joan ti ha già pagato. Hai fatto finta di non sentire il cellulare che squillava. Ha squillato ripetutamente già tre volte. Siccome non ti chiama mai nessuno, sono più che certo che era Joan. Richiamala, ti prego. Inoltre, contribuirai a rendere ancor peggiore, se possibile, la fama dell’inaffidabilità degli italiani. E questo non è giusto e non è vero. 

Il sorriso più bello del mondo viene accolto da una tribù di pinguini vestiti di grigio ghiaccio che la circondano di sorrisi e di attenzioni. Chi si toglie il cilindro, chi le prende la borsa, chi le apre la porta. 



Ho trentanni, i capelli folti lunghi e biondi, sono atletico ed entro saltellando in questo palazzo che non è un palazzo. Sono fico e determinato. Sono Robert Redford e Roger Moore e pure un po’ Paul Newman e saltello sui gradini. Sono davvero fico e ora la fermo. Adesso le mie guardie del corpo sono due enormi vasi neri pieni di fiori bianchi e rossi e sono tentato di chiedere loro se per caso hanno visto dov’è andata la mia innamorata. Il sorriso e gli occhi. Scemo, te lo ricordi come si bacia? Avevi un appuntamento. Yeah glitter glitter everywhere like working in a goldmine, bravo Roddy. 



Deficiente, sei appena entrato in uno degli alberghi più belli del mondo. E sei pazzo.



Sono circondato da attenzioni che non hanno nulla di affettato. Sembra davvero che tutti abbiano a cuore il mio comfort, le mie necessità. Ma siccome io sono solo, e sono Robert Redford, e sono Roger Moore, e sono Paul Newman, e sono quindi decisamente fico, entro sparato alla ricerca del giacchino di Chanel col vestito rosso e il sorriso più bello del mondo. Anche perché qua dentro sorridono tutti. 

Un bel profumo, garbato, discreto. Fiori. Divanetti che sono certo saranno comodi come letti d’altri tempi. E a proposito d’altri tempi sembra davvero d’essere in un atmosfera di tempi altri. Cestini di tramezzini e ceramiche e sono convinto che da quel bellissimo divanetto ora possa alzarsi Oscar Wilde. Ringrazio la signora dai tratti orientali che immaginava volessi fare colazione e torno indietro nella lobby per poi dirigermi verso il banco del concierge. Tu qua dentro sei fuori posto. Ti sbagli sempre, Redford è come il blazer blu. Bill LaBounty vuole farsi fotografare da me mentre canta Look Who’s Lonely Now e certo non gli dico di no. Mi raccomando, fatti pagare.



Sono sorpreso dall’improvviso mutismo del mio cervello. Resto affascinato da tanta bellezza e inizio a fare fotografie. Le finestre di questo posto andrebbero premiate. I fiori di questo posto sono già stati premiati, certamente. Faccio foto e siccome sono Robert Redford tutti mi lasciano fare, e continuo a cercare la mia innamorata. Sì, proprio.

Deficiente, rispondi a questo, ti ha appena chiesto se cerchi qualcuno o se vuoi una stanza. Adesso, con il garbo che ti contraddistingue, lo ringrazi, gli dici che ti sei sbagliato e scappi come a Forrest Gump da Joan. Che ti ha già pagato, deficiente.




Sì, grazie. Davvero gentile, un bel drink.

E chi sei adesso, James Bond. Deficiente, d’un deficiente, d’un inarrivabile gran deficiente ma dove vai.





E vengo accompagnato in un altro bel posto. Ecco, questo posto è un contenitore di tanti posti. Più che posti sono luoghi. Luoghi d’una bellezza inarrivabile, luoghi che andrebbero contemplati. E quasi come m’avesse letto nel pensiero questa signorina mi fa accomodare sotto la finestra più bella di tutte le finestre più belle e io ascolto la mia bocca che chiede un tea proprio nell’istante in cui la mia innamorata, quella che va in giro con quel sorriso senza il porto d’armi esce da questo bel posto il cui nome è scritto sul menù che ora ho davanti, Artesian Bar.



Deficiente d’incomparabile ignoranza. Sei nel Bar migliore del mondo, semplicemente. Che deficiente. Facessi qualche foto almeno. Chiama Joan.




Se non ho capito male, è andata a ristorante. Ecco, ci mancava anche il ristorante. David Bowie a piacere anche se faccio un duetto con Billy Idol, cantiamo Rebel Yell.

Mi piacerebbe essere se non un poeta almeno uno scrittore. Mi piacerebbe descrivere quest’atmosfera. La cortesia di tutte queste persone. Ora, capisco il lavoro. Capisco la gentilezza. Magari è proprio previsto dal contratto, io ti pago ma tu oltre a servire ai tavoli, oltre a prendere le ordinazioni, oltre a preparare i cocktails. A proposito, guarda a quello dietro il banco del bar, gioca a fare le montagne russe con due bicchieri pieni di un liquido rosso. Dunque, oltre ad accogliere le persone devi sorridere e il tuo sorriso deve essere vero. E non credo sia una cosa semplice. Mi piacerebbe essere capace di descrivere quest’emozione. Lascia perdere che non è cosa tua, e non ti mettere a fare foto adesso. Devi andare da Joan. Fai la persona seria. Sei un italiano serio. Ti ha pagato. Adesso fanno il surf. Eh? Guarda il barman, sta facendo fare il surf a quei cosi. Gesù. Avrei voluto girare io il video dei Tame Impala, The Less I Know The Better. Ecco, mo’ pure regista. Se Joan ti denuncia io testimonierò a favore suo, te lo dico. 

Elton John dovrebbe scrivere una canzone e intitolarla The Artesian. Ecco, telefona anche a lui, diglielo. Sei da ricoverare, e pure subito. Chi è quello? Ma quello chi, maledizione. Quello seduto nel tavolo al centro, che scrive. Già scriviamo, strumenti fabbricati per parlare li usiamo per scrivere. Feeling Something di Ronn Matlock è come il blazer blu. Comunque quello è uno famoso. Fagli una foto, allora. Lo sai. Maledetto ipocrita presuntuoso stupido vecchio asociale, vorresti forse parlare di correttezza? E con Joan sei corretto? Hai preso i suoi soldi e te ne stai in questo bar come Totò e Peppino a Milano. E’ andata a ristorante. Vado anch’io. Closest Thing To Heaven, Tears For Fears.




Voglio vivere qui. In questo palazzo alla fine di Regent Street. Sì, sì. 

Bene, siamo d’accordo. No, no e no: Joan, ti ha pagato e il tuo cellulare continua a trillare.




Eccola! E’ bellissima. Dopo una serie di vicoli, di sorrisi, di vini in attesa di essere bevuti, vengo accompagnato in una piazza circolare dominata dai grigi e da enormi finestre. E’ tutto molto più che bellissimo. Hanno già capito, senti a me. Ora dici che ti sei sbagliato e giri i tacchi. E’ bellissima. Parla con uno, è bellissima. Non ci pensare. No, vado. La fermo, e l’invito a pranzo. Oh, sono quasi d’accordo così al momento di pagare t’arrestano e io ti denuncio anche per Joan. 



Silly Love Songs, Paul McCartney and The Wings e mica si sbaglia.





Sono circondato, vengo fatto prigioniero dai soldati dell’esercito della gentilezza. Vengo fatto accomodare da uno degli ufficiali che mi illustra il tipo di condanne che mi verranno inflitte, d’altronde me la sono proprio andata a cercare. E’ reato seguire le persone. E poco alla volta scopro che tutti i soldati dell’esercito della gentilezza sono italiani. Ma porca miseria. E mentre mi spiegano cosa mangerò e cosa berrò già apprezzo il sapore della mia condanna. Dodine de canard, braised beef cheek, foie gras parfait…e poi arriva proprio il generale dell’esercito della gentilezza. 





Mi spiega che all’interno dell’esercito vi è un dipartimento dell’accoglienza e della bellezza. Mi spiega che le cose belle e buone non s’improvvisano. Che ci vuole tanto lavoro. Che a volte i sacrifici non vengono apprezzati. E che comunque vada loro stanno lì, in cima a quel muro, e provano a difenderci. E adesso è proprio il turno di Tchaikovsky. Persino il mio cervello s’è fatto muto, a tanto costretto dalle micidiali armi di Antonella, Andrea, Luca, Ionut, Dario e la mia malandata memoria non riesce, molto maleducatamente, e citare tutti i soldati di questo meraviglioso esercito guidato da Quentin. Quentin è alto. Quentin è schifosamente giovane. Quentin è bello. Ma soprattutto, Quentin cucina come cucinerebbe Dio.






Il sorriso se n’è andato, ho chiesto. Pare che lavori qui, quel bellissimo sorriso. E’ nell’esercito. Però io ho capito che proprio non sono Robert Redford, e nemmeno Moore, e nemmeno Newman anche se lì è questo quello che m’hanno fatto credere. Al Roux At The Landau m’hanno fatto tornare la voglia di fare amicizia. Ringrazio tutti e mi precipito fuori, baciato dal sole di Londra. Telefono a Joan. Decido di fare l’unica cosa che so fare, le dico la verità. Le chiedo scusa e fisso un appuntamento per domani. Le dico che le farò le foto e le abbuono la differenza che avrebbe dovuto saldarmi. Mi dice che non c’è problema. Mi dice che temeva mi fosse successo qualcosa. In effetti, è successo qualcosa. Mi sono innamorato della vita e delle cose belle. E non ho più voglio di stare da solo. Torno indietro ed entro al Langham. Mi fermo qui stasera, e non sento più il mio cervello...Love Won't Wait, Bobby Caldwell.









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