venerdì 22 febbraio 2013

Gianluigi Il Gigante

Per Gianluigi, il mio Capitano ...



          Sembrava una lotta ad armi pari. Un duello tra titani. Le agenzie di scommesse si rifiutavano di prendere le puntate. Nessuno poteva sapere se avrebbe vinto il sole o quell'immensa nuvola nera che combatteva allo spasimo con i caldi raggi della palla di fuoco che tentava d'illuminare quella gelida mattina di febbraio.

          Ed è proprio quando sembrava che la grossa nuvolaccia nera fosse sul punto di vincere un raggio di luce arancione s'intrufolava annientando ogni ostacolo incontrato sul suo percorso filtrando tra i rami dell'anziana e spoglia quercia, trafiggendo la tenda d'organza ed il suo giallo drappo fino a scaldare le nocche della mia mano che in quello stesso momento agguantava il telefono sullo scrivania.

          "Peppino è morto".  Nient'altro, solo questo mi dice Gianluigi. 

          Non saprei dire con precisione da quanto tempo non sentivo il mio capitano. Solitamente sono un tipo abbastanza preciso, non mi piace l'approssimazione ma sarò, per una volta, assolutamente approssimativo. Credo di poter dire però che siano trascorsi almeno trentanni, forse di più.

          Mi sorprendo a pensare se Gianluigi ha fatto le telefonate nello stesso ordine con il quale, sentito Peppino, procedeva a fare la convocazioni sia per gli allenamenti che per le partite. 

          Il vento capovolge definitivamente le sorti dell'epico duello decidendo di portare una moltitudine di rinforzi in soccorso della nera nuvolaccia ed ora è improvvisamente buio e il sole viene sconfitto.

          Il sole ha perso e Peppino è morto. E io ho ascoltato la voce di Gianluigi dopo trentanni.

        Undici ragazzi tra i sedici e i ventanni, in uno sgabuzzino di otto metri quadrati che i più chiamavano spogliatoio, in un unico abbraccio, a turno scaraventati in aria da un gigante dagli occhi buoni e malinconici, celesti e bianchi come la maglia dell'Argentina, arrossati dal fumo dell'immancabile sigaretta che Gianluigi s'accendeva alla fine di ogni partita prima di fare la doccia. L'apartheid era di là da venire.

          Non avevamo niente. Niente tute, niente scarpini, la divisa ufficiale, un'improbabile panno lencio d'un colore indefinito abbastanza vicino al verde, ce la procurò Giancarlo e nessuno gli chiese come. Giancarlo giocava terzino interpretando assai all'antica quel ruolo. Fluidificante per lui era lo sciroppo, non un calciatore che alla sua prima partita fece ritardare l'inizio dell'incontro di venti minuti tutti passati a discutere con l'arbitro il quale pretenziosamente asseriva che i camperos erano stivali e non scarpini regolamentari e Giancarlo non poteva giocare a calcio con i camperos. Fu Gianluigi a convincerlo, per i camperos. Il nostro capitano nulla potè sul concetto di fluidificare.
          "Devi spingere sulla fascia, Gianca'! Quando attacchiamo, devi salire".
          "Ma manco pu' cazz compa', mi stanco a fa' avanti e indietro e pure mi rompo un po' i coglioni per cui, se vuoi, sto' qua fermo altrimenti me ne vado che così mi rimetto pure i camperos". Questo ci disse Giancarlo al nostro capitano. Il calcio statico in undici era sempre meglio di un giuoco dinamico ma in inferiorità numerica.

          Peppino era il nostro allenatore e all'epoca teneva cinquantottanni. Ci faceva allenare, una volta a settimana, nel parco della città. Sia parco che città sono la rappresentazione ideale e fantasiosa dei luoghi in questione e vivaddio che ci sta la teoria della relatività. La nostra cittadina di ventimila anime è afflitta dalla sindrome del maltempo essendo arroccata sopra a una montagna precisa nel mezzo del buco del culo dell'Europa, fa sempre freddo e se non piove nevica. E quando giochi a pallone sotto l'acqua co' delle maglie che sono a tipo cappottini di loden ti sembra di tenere a un corpo morto da sopra al corpo tuo, tipo che le maglie arrivavano a pesare circa tre chili. Erano bacinelle piene, no magliette.

          Ma almeno giocavamo, almeno così credevamo. E Peppino sotto al diluvio ci urlava appresso gli schemi. Chi più chi meno, Giancarlo e Leo molto più, tutti hanno saltato qualche allenamento. Peppino era sempre presente. Il fisico molto simile ad un palo della luce denutrito, il volto scavato da rughe profonde come a delle trincee un naso aquilino sempre sgocciolante. Però assomigliava a Paul Newman, assai.

          "Luigi, passa! Passa a Gianluigi! Luigi ... ti sostituisco!"

          Ma io me ne stavo tranquillo lunga la linea di gesso che delimitava l'out sinistro perché sapevo che tanto non poteva sostituirmi, e co' chi cazzo mi doveva sostituire che una volta stavamo per mettere in porta a Mirella, la fidanzata di Gianluigi perché Mario, pur essendo venuto al campo, non poteva giocare poiché s'era affettato la mano sua destra invece che il filetto per la signora Gerolami. Peppino lo convinse che ormai diciannove punti già ce li avevano messi per cui in porta ci poteva tranquillamente stare.

           Mario giocava in porta, Giancarlo e Rocky erano i terzini. Il mediano era Roberto e stopper giocava Giuseppe. Il libero era Gianfranco. Gianfranco era la nostra aquila, l'ultimo baluardo a difesa del castello, il nostro ponte levatoio. Spesso il pallone di cuoio, bellissimo nella sua livrea ad esagoni bianchi e neri, rotolava verso di lui inseguito dall'attaccante avversario. Gli occhi di Gianfranco andavano sul pallone e andavano sull'avversario. E poi gli occhi di Gianfranco dicevano al cervello di Gianfranco dove le gambe di Gianfranco dovevano andare, se sopra al pallone o sopra all'avversario. Dettagli ininfluenti, il ponte levatoio s'alzava e il nemico non faceva razzie dentro al castello nostro.

          "Senza fallo Gianfra', mi raccomando!" Sbraitava Peppino sapendo che spesso le raccomandazioni so' fasulle.

          All'ala destra ci stava Antonello anche se non si vedeva da dentro alla divisa mentre col numero otto ci giocava Giacomino. Il centrattacco era Gianluigi un gigante grosso e grasso che faceva fatica a scendere dall'auto, una 131 familiare originariamente bianca dove nel bagagliaio tenevano la residenza una damigiana del miglior olio d'oliva di tutti i migliori oli d'oliva del pianeta in compagnia di spezie varie e salumi d'eccellenza, ma in campo si trasformava nell'essere vivente più veloce di sempre. Un piccione, Gianluigi il capitano dagli occhi celesti e buoni, il nostro gigante era un piccione. Stazionava fermo immobile in attesa che le auto in corsa guidate dagli avversari lo travolgessero e quando convinti d'averlo travolto s'aspettavano solo d'udirne il rumore delle ossa frantumate, ecco il nostro capitano volteggiava apparendo come per magia negli specchietti retrovisori delle auto assassine e con precisione chirurgica appoggiava di testa all'incrocio il pallone co' lo stesso stile preciso preciso di Graziani e Bettega e Pruzzo e Savoldi. E poi il tocco, morbido, preciso, elegante. Raffinato. Tu vedevi a un gigante e vedevi pure nu cazzo di Nureyev. E pure quando il campo era come un lago di sabbie mobili che non ti faceva manco alzare gli scarpini, ti tratteneva come n'amante che non accettava d'essere lasciato, Gianluigi sentiva a Tchaikovsky e ballava nelle paludi.

          "Luigi tu basta che crossi, pure più in alto del necessario, ma tu crossa che poi ci penso io". Questo mi diceva ed era vero. Ci pensava lui. Perché Gianluigi non è tipo che mente.

           Col numero dieci c'era Leo, il più talentuoso tra noi e pure il più uomo di merda, il più vigliacco. E poi c'ero io, con l'undici da sopra alla schiena.

          Un anno meraviglioso. E noi giocavamo a pallone e vincevamo in campo perché la vita ci stroppiava di palate fuori dal campo a cominciare da Peppino che quando non veniva in panchina sotto la pioggia a urlare appresso a noi s'accudiva la moglie dentro a un letto a casa a toglierci la cacca dalle lenzuola, e Antonello che stava sempre all'ospedale dove il padre era intubato, e Giuseppe che faceva sempre a pugni per difendersi alla sua sorella più piccola co' la sindrome di down, e Mario che mentre noi facevamo filone si scaricava dal furgoncino alle carcasse dei maiali per la macelleria che lui e la madre s'erano ereditati dal padre prematuramente ucciso da un calcio in testa d'un cavallo ingrato, e Roberto che viveva da solo in compagnia della nonna sua cieca, e Giacomino che già sapeva di nutrirsi dentro un brutto male, e Leo che se ne fotteva di tutto e di tutti.

          Leo era bravo però. Il pallone lo telecomandava. Lo metteva preciso dove voleva. E si sfotteva a tutti gli avversari, a volte ce li prendeva pure a sputi e poi scappava a nascondersi dietro a Gianluigi.

         "Leo, devi essere più corretto". Peppino ce lo ripeteva in continuazione, e Leo se ne fotteva in continuazione delle ripetizioni di Peppino.

          E vincevamo sempre, o quasi. E così faceva l'Assobelli, la nostra rivale che ci affiancava in testa alla classifica e con la quale pareggiamo la partita d'andata con un un rarissimo zero a zero.

          E vincemmo anche tutte le partite del girone di ritorno, e cazzo che però pure così fece l'Assobelli. Per cui, a tipo film, l'ultima partita di campionato stiamo a pari punti co' l'Assobelli e ci giochiamo proprio co' loro la vittoria finale.

          Tanto per cambiare piove a tipo che giochiamo dentro un fiume di fango sotto a una cascata.

          Alla fine del primo tempo Leo riesce in un'impresa davvero notevole. Sputa in faccia a n'avversario e prima di ricevere il pallone da me colpisce di puntazza il ginocchio del suo marcatore e poi si tuffa a capriola dentro all'area avversaria. Rigore. L'Assobelli manco ci protesta co' l'arbitro, no. Solo tutti gli undici giocatori si trasformano in Willie Coyote e rincorrono da dentro a tutto il campo a quella merda di Leo che scappa e grida aiuto.

          "Di' all'arbitro che non era rigore!" Peppino s'implora a Leo, Leo si spernacchia a Peppino. Dagli spalti una famiglia numerosa di fratelli del puntazzato al ginocchio s'avvicina minacciosa al limitare del campo, tutta la famiglia è ombrellomunita.

          L'arbitro riporta l'ordine in campo.

         "Rigore netto, netto. Quant'a 'na casa". Leo la merda.

         Gianluigi guarda l'arbitro, Gianluigi guarda Peppino, Gianluigi guarda Leo. Gianluigi tiene il record dei rigori segnati consecutivamente, quindici. E' un record eguagliato, otto anni prima tal Rolitobba ne aveva segnati pure lui quindici di fila.  Gianluigi si piglia il pallone e se lo poggia da sopra al dischetto. E co' questo saranno sedici, sedici di fila e Gianluigi stabilirà il nuovo record.

            L'arbitro fischia, Gianluigi sposta le mani che fino a un attimo prima teneva poggiate sui fianchi e con la solita corsetta di cinque passi va sul pallone e ... calcia che manco volesse trasforma' 'na cazza di meta.

           "Gianlui' che Cristo della Madonna hai combinato!" Ci dico.
           "Gioca, nun romp'u cazz!" Discuteteci voi col capitano, se volete. Io gioco.

          L'arbitro fischia la fine del primo tempo e manda tutti negli spogliatoi.

          La famiglia ombrellomunita manco fossero i campioni olimpionici di nuoto sincronizzato si tuffano da sopra a Leo ma Gianluigi ne solleva contemporaneamente tre, co' tutti gli ombrelli, e adesso 'sti tre agitano assai le gambe perché stanno sollevati da terra e sbattuti di spalle alla casetta degli spogliatoi. Non c'è bisogno d'aggiungere altro. Ha smesso pure di piovere ed è tornata la calma.

         "Come cazzo t'è venuto di tirare il rigore in quel modo?" Il ponte levatoio, Gianfranco.
         "Non era rigore!" Il capitano sollevatore di famiglia ombrellomunita.
         "Era rigore quant'a 'na casa!" La merda.
         "E perché, quando ci hanno dato il rigore ai Silenziosi e che era rigore quello?" Mario.
         "Abbiamo vinto nove a uno co' i Silenziosi e quel rigore se lo parava pure Canio 'u portiere del palazzo mio". Ancora il capitano.
         "Basta mo', bevetevi il té e torniamo in campo siamo zero a zero possiamo vincere. Leo, il rigore non c'era!" Peppino il mister.
          "C'era. Quant'a 'na casa! E il prossimo rigore lo tiro io!" La merda.
          "Ma vafangul, va' va'". Il coro di voci bianche di tutta la squadra si zittisce a Leo, la merda.

          E' il funerale più triste di tutta la storia dei funerali tristi. Compresa la squadra delle pompe funebri, esageratamente numerosa, siamo in diciotto al funerale, prete incluso. Tutti oltremodo appesantiti, tutti senza capelli, solo Gianluigi è lo stesso di sempre, lo sguardo buono e malinconico. Ha smesso di fumare, il capitano. Ma ha comunque gli occhi rossi. Sono alla sua sinistra, come stavamo sul campo. Io correvo come 'nu Forrest Gump posseduto Giacomino mi lanciava la palla, io la spingevo oltre e l'inseguivo, la raggiungevo un attimo prima che uscisse dal campo a la scagliavo a occhi chiusi in mezzo all'area avversaria perché tanto sapevo che Gianluigi c'era. Gianluigi c'è sempre stato. E infatti quello s'arrampicava sopra all'aria vuota saliva, e saliva ancora e sbatteva forte la fronte addosso al pallone che immancabilmente andava a gonfiare la rete. E io correvo a braccia aperte incontro al mio capitano che mi sollevava ridendo co' la malinconia dentro agli occhi e diceva che era merito mio e poi si buttavano sopra a noi il ponte levatoio e tutti gli altri.

            E Peppino non c'è più.

            La partita è quasi finita, mancano pochi minuti. Gianfranco sbroglia 'na situazione antipatica assai ed esce dall'area palla al piede, è un condottiero scozzese che si ribella e reclama le sue proprie terre, e corre, e avanza e supera la metà campo palla al piede e s'avanza ancora e resiste alle cariche e riesce a lanciarmi sulla fascia e io stoppo a seguire il pallone con l'interno e affronto il mio nemico e invece della solita finta a rientrare me lo bevo al contrario, finto d'andarmene sull'esterno e rientro all'interno, quello cade da cavallo e sbatte nuca a terra mentre io mi lancio nelle palate, sono in area adesso, vedo il bottino e so che Gianluigi è pronto, m'aspetta, perché Gianluigi c'è, c'è sempre stato e allora io non ho paura e vado senz'armatura ad affrontare la lancia del nemico e prima che il nemico mi finisca riesco a mettere il pallone in mezzo e Gianluigi adesso è Bettega è Panatta a Wimbledon, Gianluigi si tuffa com'a Dibiasi e impatta il pallone e il portiere riesce a toccarlo e poi Leo ci si fionda sopra e la palla va in rete, rete!

           Peppino fa il mister da sempre, so' trentanni che fa il mister, Peppino.

           In trentanni Peppino non ha mai vinto nu cazz', mai!

           Siamo tanti Marines che tengono in piedi la bandiera degli Stati Uniti, Gianluigi è la nostra bandiera, il nostro capitano.

           E facciamo festa, e brindiamo, e saltiamo. Abbiamo vinto il campionato. Abbiamo vinto.

           Gianluigi sta fumando.

           Gianfranco si disinfetta un ginocchio, Mario si guarda la mano con i punti, Peppino guarda in alto, Antonello sembra perfino grasso, Giancarlo soppesa gli scarpini e il camperos, Giuseppe Giacomino e Rocky fanno a gara a chi lo tiene più grosso, io guardo Gianluigi e ci sorrido.

          "Sentitemi bene a me, tutti quanti". La merda reclama l'attenzione di tutti e l'ottiene.
          "Ehehehe, sentitemi bene. Il gol che ci ha fatto vincere il campionato, il gol della vita, il gol più importante, l'ho fatto io. Ho segnato io. Io ho spinto la palla in rete. Senza di me questo cazzo di campionato non l'avreste vinto. Ho messo io dentro il pallone. E la volete sape' 'na cosa?" Non ricordo più l'espressione degli altri, ricordo che guardai il mister e il capitano, ma non ricordo l'espressione degli altri miei compagni di squadra. Era l'ennesima sparata della merda e stavamo ascoltando. E poi Leo concluse:
          "Ve la dico 'na cosa perché nessuno se n'è accorto. Ho segnato io e il pallone l'ho spinto in porta con questa cazzo di mano, ecco com'ho segnato, di mano. Ho fatto il gol della vittoria co' la mano, ah ah ah!" Il mister scivolò di culo a terra appoggiato di schiena al muro Gianluigi il capitano non disse una parola, nessuno parlò più.

             Da allora ognuno ha preso una cazza di strada, non ci siamo mai più visti fino ad oggi al funerale.

           "Ma Leo l'hai chiamato?" Chiedo al mio capitano.
           "Sì, purtroppo l'ho fatto. Ha detto che teneva n'impegno". Questo mi rispondono gli occhi buoni del gigante, il mio capitano che è sempre alla mia destra. Gianluigi ci sarà sempre.

            Me ne sono venuto da solo al campo dopo il funerale. Sono impalato di fronte alla casetta degli spogliatoi. Come una specie di silhouette c'è l'impronta di tre teste sopra al muro.



venerdì 15 febbraio 2013

C'era una volta ... da C'era Una Volta!



          C'era una volta ... da C'era una volta!

Ovvero il resoconto per immagini della presentazione del libro in una cornice da favola, con bella gente, amici sinceri, buon cibo ... insomma e che ve lo racconto a fare, 'na bella serata

                                                                                                                   Grazie

lunedì 4 febbraio 2013

C'era Una Volta...



          E che ve lo dico a fare, se zio Billy e Procopio decidono di andare a ristorante, a ristorante si deve andare.

"Coglioncello, C'era Una Volta è un posto non un ristorante!"
"Mo' m'incazzo, zio cioè non stiamo andando forse a mangiare? Non si chiama ristorante quel coso dove tu vai ti siedi ordini e mangi e poi paghi? Tu sei pazzo!"
"Coglioncello, no. C'Era Una Volta è un luogo, è un camino, è una tavola di cose altre, è un filetto brillo, è un vicolo illuminato, è una libreria, è una piazzetta, è un bicchiere che ti riscalda, è una finestra su un cielo privato, è un posto non un ristorante ma io perdo tempo e fiato co' te nipote mio, piccolo uomo scrotoso!"

          Ti fortifica l'animo essere trattato con stima e affetto, ma sì andiamocene a ristorante anzi a un posto, bah.

          Dopo una serie di curve che s'arrampicano di brutto al buio e che proprio te lo predispongono bene assai allo stomaco per la cena, ecco che l'enorme suvvone nero come alla strada che ci siamo fatti fa il suo ingresso in questa specie di corte tipo nu paesello però mi piace il rumore delle ruote che si sgranocchiano all'acciottolato tutto coccolato dalle siepi che proteggono il parcheggio del ristorante, pardon del posto che zio Billy è capace di leggere i pensieri.

           La truppa al completo fa il suo ingresso da C'era Una Volta e nu cristiano co' na coppola in capa e una improbabile camicia a scacchi ovviamente saluta a Procopio e zio Billy come se fossero il Papa e il Presidente degli Stati Uniti il locale è pieno per cui ci fanno accomodare in una piccola sala che accidenti, è davvero deliziosa.
          Un camino insolitamente non puzzolente m'invita a guardare il suo proprio ardore ma non riesce a distrarmi dalle meraviglie di libri di un'epoca altra che ci circondano e perfino Cungo, noto intellettuale di levatura mondiale, è preso dall'irrefrenabile istinto d'afferrare un volume e se l'apre e se l'annusa e chiude gli occhi e poi li riapre e io li vedo quegli occhi che corrono tra le ingiallite pagine e quella corsa adesso è un sorriso che illumina il faccione di Cungo mentre legge Le Strade Ferrate Dell'Ofanto di Giustino Fortunato Lire 15 edizione del 1927, mentre io allungo le mani su un piccolo volumetto che tiene il colore indefinito del tempo, prezzo Lire 1 edizione del 1904 approvata dall'autorità ecclesiastica, Sac. Fra Carmelo Intieri, il titolo Riflessioni Sul Divorzio, eccheccazzo se lo facevo apposta non ci riuscivo.

          Questa sala che pare precisa 'na piazzetta dentro una libreria d'una epoca diversa è accogliente oltre ogni aspettativa.
          Acquaiuolo Sarto e Arrotino, non sono artigiani qui convenuti ma tavoli. Qui i tavoli tengono un nome. Nella sala che pare un vicolo ci stanno Barbiere, Musicante, Muratore, Fabbro, Banditore, Ciabattino, Nonna, Fotografo e Maestro, il preferito di tutti.
          Ci sediamo al Sarto e tutti abbiamo la sensazione di sentire come un lamento provenire dalla seggiola che viene occupata da Cungo, 202 centimetri e 138 chilogrammi, quest'ultimo dato in continua evoluzione.
           Isuccio, il segretario tuttofare di Procopio conversa amabilmente con Elio, il proprietario e non chiedetemi come sia possibile non che Elio Coluzzi sia il proprietario del posto quanto piuttosto che riesca a conversare con un muto.

"Tutto".
"Prego?"
"Tutto". E stavolta Cungo sbandiera sotto al naso di Valerio il quadernetto delle elementari che qui funge da menu.
"Bene". Valerio dimostra un'intelligenza non comune e asseconda il pazzo.
            Procopio ordina bruschetta al lardo e patata ripiena per tutti e petto d'anatra affumicato.
"Gradite dell'Aglianico?"
"Giovanotto, l'Aglianico ci ha veramente frantumato i co i coco i cocoglioni, lascia fare. Per favore portaci due bottiglie di Barrua". La perentoria scelta del vino da parte di Procopio, l'invalido multimiliardario ottantenne in carrozzella, saltuariamente balbuziente.
"Pane cotto con le rape è il mio primo". Zio Billy e la tradizione.
"Ravioli della nonna". Procopio.
"Ferricelli con le noci". Provo io, mentre Isuccio batte due volte il dito indice sul secondo rigo del quadernetto dov'è scritto Grossi Schiaffi Alla Potentina. Valerio adesso guarda perplesso Cungo che ancora più perplesso ricambia lo sguardo.
"Lei davvero vuole tutto o scherzava?"
"Senti a me, non si scherza mai sul mangiare. Mai. Procedi pure e con porzioni normali, mica assaggi". Cungo non è normale, ma ce lo sapevate già.

           Il petto d'anatra affumicato in agrodolce con cipolle e pomodorini in un giardino di rucola è davvero squisito, e il Barrua è vino per chi ama e conosce il vino, e Procopio ama e conosce la vita, si va be' tiene pure un sacco di soldi.

               Cungo è riuscito a finire tutti i primi, compresi gli strascinati e i ravioli di baccalà prima del mio ultimo boccone di ferricelli. Non ci sono parole.

            Altre due bottiglie di Barrua planano sul Sarto e il muto attira l'attenzione del suo padrone. Una volta Isuccio tenne una conferenza sul termine padrone, la conferenza finì in un abbraccio tra lui e Procopio. Il muto fa segno all'invalido che a sua volta dice a zio Billy di girarsi e ovviamente ci giriamo tutti verso il banchetto che funge da cassa e ammiriamo un gruppo di politici locali che si fanno rilasciare una ricevuta ciascuno. E con le loro ricevute ben piegate e nelle tasche infilate ecco s'appropinquano a noi e si lanciano in molteplici fantasiosi ed imbarazzanti salamelecchi verso il nostro ospite.

"Procopio, credevo che i politucoli non fossero il tuo forte..."
"Giovanotto...". Un po' sul piffero 'sto fatto che ti chiamano giovanotto a quasi cinquantanni...
"...prima di tutto questi sono po popo popoliticoni, termine che dovrebbe farti ben capire che trattasi di sincrasi di due offese ben distinte. Dunque, la vera feccia è sempre in basso. Sempre, ricordalo". Sono già pentito del mio intervento, avrei voluto solo continuare a bere questo vino eccellente e continuare a far scrocchiare 'sti puparuli cruschi mi sa invece che toccherà sorbire una lezione d'educazione civica da un megamiliardario in carrozzella che a volte inciampa quando parla....
"...il vero cancro della nostra società è la politica locale e la di lei disdicevole rappresentanza. Il mondo è corrotto, questo è un fatto. Ma preferisco vedere la piramide del malaffare rovesciata, tutto qui. Non v'è nulla di più alto e affascinante della politica. Ma ci vuole ce cece cecervello, moralità e buone maniere. Tre ingredienti che di didi didifficilmente possono trovarsi nei discount di periferie generalmente caratterizzati da sciatteria e scarsa off offofferta.
La politica dovrebbe essere un grande tavolo rotondo, senza spigoli. Dove tu siedi in fra tuoi avversari, non nemici. E un nemico ignorante, stupido e cattivo è pericoloso ass assa asassai". Detto questo mi punta l'indice quasi fossi io il responsabile della decadenza intellettuale del mondo tutto e poi sorseggia un altro po' del suo Barrua, si tampona leggermente le labbra non più rosse come un tempo e prosegue:

"Vedi, il mio impegno politico si risolve in un fiume di denaro che verso quasi indistintamente a tutti i troppi pa papa partiti presenti nel nostro paese, non voglio imbarazzarti con le cifre precise. Ma non sono ricattabile, nel senso che i miei affari, in Italia, non hanno certo bisogno di aiutini. Io ho un solo interesse, è trasversale e finché sarò in vita continuerò  a pe perpe perseguirlo".

            E l'invalido mo' si guarda a zio Billy tipo come a cercare l'approvazione dello zio mio il quale ci ricambia lo sgurado con un leggero cenno affermativo del capo. Codici privati della terza età. Procopio s'aggiusta sopra al trono e va avanti:
"Sono in pochi a saperlo...". Tutti percepiamo un poco silenzioso rigurgito da parte di Cungo...
"...io sono sopra a questa seggiola con le ruote da quando avevo diciannovanni e Isuccio, quando io avevo diciannovanni parlava e ci sentiva benissimo. Entrarono nel nostro palazzo in sette, radunarono tutti nel salone principale e per far ben capire che non scherzavano uccisero tutta la servitù e quindi i genitori di Isuccio, violentarono davanti a noi mia madre e poi uccisero anche lei quindi chiesero a mio padre di firmare dei documenti. Mio padre si rifiutò, così strapparono con una tenaglia la lingua a Isuccio e gli infilarono un cacciavite in ciascun orecchio...". Le mani di Isuccio adesso erano chiuse strette a pugno e le nocche erano completamente bianche...
"...poi trucidarono i miei due fratelli più grandi. Mio padre disse loro che ormai lo avevano già ucciso, potevano ultimare la loro opera e andare ma lui non avrebbe firmato quei documenti. Il capo del commando mi sparò cinque colpi di mitra su ciascun ginocchio e puntò poi l'arma alla testa di mio padre, che già all'epoca era uno degli uomini più ricchi d'Europa. Mio padre non resse e acconsentì. L'errore dell'assassino fu quello di posare a terra il mitra e optare per una più pratica pistola per minacciare il mio ricco genitore nel mentre iniziava a firmare il primo di molti fogli che gli giacevano immobili davanti.
           Il volto d'Isuccio era una maschera di sangue ma riuscì ad impossessarsi del mitra ed uccidere il capo commando ed altri due componenti la spedizione. Un altro dei galantuomini partecipanti all'happening sparò ripetuti colpi di pistola in mia direzione ma mio padre si tuffò su di me sacrificando la sua vita per la mia e dando modo ad Isuccio di terminare l'opera uccidendo l'assassino di mio padre ed un suo altro compare. Io non sentivo nessun dolore e avendo altro a cui pensare al momento non mi soffermai più di tanto a valutare il gesto di arrendersi compiuto dagli altri due superstiti del commando. I quali vennero processati e arrestati. Condannati a quattro anni di galera passarono 365 giorni in carcere e poi uscirono. Avevano entrambi violentato mia madre davanti ai miei occhi. Isuccio li prelevò il giorno dopo la scarcerazione ed io li uccisi con le mie mani, mi sarebbe piaciuto fare altrettanto con il giudice ma Isuccio mi fece capire che avrebbe potuto comportare un certo qual rischio così mi astenni".

          Gli occhi di zio Billy erano lucidi e pensai a chissà quante volte aveva ascoltato questo racconto mentre Cungo aveva smesso di mangiare. Ma ritenne di finire in un sol sorso il suo bicchiere di vino, e subito dopo passò al mio, di bicchiere. Sempre in un unico sorso.

"Sai perché ti ho raccontato tu tutu tututto ciò?". Procopio e sai quanto cazzo avrei fatto volentieri a meno di saperlo?
"Perché avrai notato come da più di un anno, nei vari telegiornali, sui mass media tutti, si parla della situazione delle carceri. Di come il nostro amato Pr Prprp Presidente della Repubblica non faccia che parlare di quanto a cuore gli stia la situazione dei carcerati del nostro Paese e che lui sta valutando il da farsi. Valutami questo cazzo, ecco cosa mi devi valutare, valuta il mio cazzo! Me ne sbatto della situazione delle carceri. Me ne sbatto se stanno in cella uno sull'altro e me ne sbatto se si suicidano e me ne sbatto se si passano il Natale lontano dai loro familiari e me ne sbatto delle telecamere della Rai che inquadrano le sbarre".

           Isuccio si fa portare altre due bottiglie di vino ma zio Billy lo blocca e dice a Valerio di portare sì altre due bottiglie ma stavolta di Amarone Nicolis e lo prega anche di cambiarci i bicchieri.

"Perché la rai non s'intervista al padre a cui hanno violentato e poi ammazzato la figlia? E' già tanto che li hanno presi e che si faranno, se va bene, dieci anni di galera cazzo vogliamo fare, li vogliamo mandare in vacanza? Perché non intervistano la vittima dello strozzino che ha tolto la casa e il lavoro all'artigiano e quello ha avuto il coraggio di denunciare dopo che l'hanno riempito di mazzate e non gli chiedono cosa ne pensa dell'amnistia? Perché non chiedono alla vecchietta a cui hanno scippato la pe pepe pensione se dorme la notte? Stanno valutando la situazione delle carceri, valutatemi il mio cazzo!
          E il mio impegno è quindi questo. Riverso un fiume di denaro dentro al parlamento affinché mai si possa far sì che delinquenti violenti possano avere la possibilità di delinquere ancora, tu tutu tuutto qui".

          Mannaggia a quel ciuccio, sapete che vi dico, vi dico che proprio non voglio pensare e non mi voglio pronunciare così mi stracanno 'sto bell'Amarone e mi concentro su cosa ordinare per secondo.

          Cungo è in fase meditativa, zio Billy stringe la mano di Procopio che adesso ha il volto d'un colorito insolitamente roseo in luogo del più tradizionale bianco.
            Isuccio batte una mano sulla spalla del suo amico padrone lasciandosi sfuggire un suono di tipo vagamente vocalesco ma indubitabilmente indefinito.

           Valerio ed Elio sono pronti per raccogliere le nostre ordinazioni e guardano Cungo con un misto di sfida e curiosità. Sul volto di Cungo appare il ghigno di Jack Nicholson. E Jack ordina.

"Girotondo di patate e baccalà, agnello cipolla e peperoncino e filetto al tartufo. In quest'ordine e non chiedetemi che cottura deve avere il filetto, il filetto non ha cottura. Il filetto si serve leggermente al sangue e basta!" Cungo dixit, e ci guarda come dire eccheccazzo vi credevate che nu racconto bastava a togliermi l'appettito?

           Per dovere di cronaca Isuccio si ordina i riccioli di maiale con peperoni all'agro, io e zio Billy il filetto brillo in salsa d'aglianico e Procopio gli straccetti di vitello con peperoni e pecorino.

          In quel momento s'appalesa al tavolo nostro una coppia di amici di Cungo, Angiolino e Vitina, ma Jack Nicholson li saluta alquanto freddamente.

"Andatevene affanculo 'sta zoccola e 'sto coglione". Il commento di Cungo non appena che si furono allontanati.

"Ma non eravate grandi amici?" La domanda di zio Billy.
"Già".
"E allora?"

           Cungo ondeggia l'enorme capa sua e fissa a turno tutti noi, poi dice:
"D'accordo, mo' ve lo racconto io un fatto bello, ma bello assai".
"Ti prego d'attendere, allora. Approfitto del bagno perché dovete tener bene a mente tre cose..." e mentre questo dice zio Billy sposta la seggiola e alzandosi si stira il suo favoloso gilet doppiopetto
"..tre cose. Approfitta sempre per fare una pisciata, non sprecare mai un'erezione e mai, mai fidarti d'una scoreggia!".

            Ancora una bottiglia d'Amarone.

"Allora, racconta di 'sti due parvenu". Zio Billy, il mio zio ch'è diversamente intelligente, diversamente arrogante, diversamente educato, diversamente elegante, insomma diversamente tutto è nuovamente tra noi.

            Cungo è alle prese col baccalà e si lancia.

"Bene, partiamo dall'inizio. Sapete chi è Ah?" A me scappa la risata di tutte le risate, Cungo mi fulmina con lo sguardo, gli altri commensali si scambiano a turno occhiate d'incomprensione.

           Io sto piangendo pensando ad Ah.

          Cungo aspetta che io mi calmi, ma non posso. Vorrei, ma non ci riesco. Adesso sussulto. Rido rumorosamente, piango e rido e non riesco a fermarmi. Anzi sì. Sono concentrato. Guardo tutti e, sbotto di nuovo, rido come un posseduto e lacrime e risate che aiutate da tutto il vino si trasformano nel più veloce dei virus per cui adesso ridono tutti rumorosamente, anche il muto Isuccio che anzi è quello che fa più chiasso di tutti. Ancora non mi fermo. Rido. Eccheccà, cinque minuti ininterrotti di risate. Che buono che è il vino quando è buono.

"Pare sia ritornata la normalità. Dunque, Ah...". E Cungo mo' mi guarda tipo incazzato che mi fa capire prova a ridere che ti piglio a calci quindi mi limito a sorridere che calci non ne voglio e Cungo è grosso assai.
"...Ah sta per Annamaria, Annamaria Verrolla la moglie di Tonio Porusso..."
"Oddio, quel pezzo di fesso che pensa d'essere un grande manager, lo chia chia chiamano sifoncino per via dell'alito..." l'intervento di Procopio.
"...esatto, dunque sifoncino s'è andato ad innamorare della Verrolla arcinota trapezista delle minchie. Tutti in città sanno che le acrobazie sessuali di Annamaria ebbero inizio alla festa del MAC PI. La dolce Annamaria teneva diciasettanni e fece il suo ingresso con uno spinello in mano nel bagno dei maschietti dicendo adesso ci divertiamo e siccome nel bagno c'ero pur'io assieme ad altri tre amici ci divertimmo assai anche perché quella mentre fotteva urlava ah, ah, ah, ah, ah. In continuazione che urlava ah e urlava talmente tanto che le sue grida si percepirono ben distintamente pure all'esterno del bagno. Annamaria credeva nel love-sharing per cui fino a trentanni ha dispensato grandi folle con i suoi ah ah, sempre urlati forte forte. Teneva pure una certa predisposizione ai piccoli furti in danno delle amiche sue nonché una riconosciuta autorevolezza nel campo delle droghe leggere. La sua famiglia è stata alquanto brava nel tener nascosto al mondo diversi soggiorni nelle comunità di recupero della penisola.

            Insomma, Porusso s'è maritato 'na zoccola di ladra tossica".

"Fantastico, ah..., che meraviglia". L'esclamazione di zio Billy come intento a rimuginare sul mito della caverna di Platone.

          Le bottiglie di vino raggiungono adesso un numero decisamente inopportuno, essendone apparse magicamente sul Sarto altre due, ma tant'è.

"Sifoncino s'atteggia a signore e se lo va ripetendo pro domo sua. Bisogna dire che spesso mette a disposizione casa sua e altrettanto spesso i suoi variegati ospiti notano che Ah non è propriamente felice degli inviti del maritino. Il quale è bravo sia a cucinare che a mentire. Soprattutto quando si tratta di spacciare le torte acquistate da Ah come prodotti di manifattura della ladra zoccola, la ladroccola.". Procopio decide di sottolineare con un applauso la coniazione di questo nuovo termine. Cungo ringrazia levando il calice con un sorriso.

"Girano voci di scambi di coppia, ma non saprei quanto possano essere veritiere". E a quest'affermazione è Isuccio a levare il calice.

"Insomma, veniamo al punto. Il Porusso ha organizzato una festa di capodanno, eterogenea alquanto. Ventotto invitati, di cui otto fuori sede. A pochi selezionati invitati sifoncino ci ha assegnato i compiti a casa, ovvero tu prepara questo tu fai quello tu porta quest'altro e via andando.
          Bisogna tener da conto un particolare non da poco. I due amici appena andati via sono da me stati introdotti alla corte del Porusso e Ah ha dimostrato di essere felice assai della comparsa di Angiolino alla sua corte anche perché da forestiero pensava che egli non fosse a conoscenza delle sue capacità artistiche evidentemente non immaginando quanto invece la sua fama fosse rilevante. In pratica Ah s'è fatta ad Angiolino e Angiolino da vero gentleman me l'ha detto. Una sera eravamo a casa di Angiolino e Porusso mi chiede che ne penso se organizziamo il capodanno da lui e io dico che non ci sono problemi epperò sento Ah che al telefono dice testualmente che quel coglione del marito ha in mente d'organizzare il capodanno ma non se ne parla proprio vaffanculati a casa tua.
          E' stato questo il mio sbaglio. Essendoci stati già altri episodi squallidi ed altrettanto spiacevoli avrei dovuto sputtanarla seduta stante ma non ero a casa mia e mi dispiaceva per Angiolino".

           Procopio e zio Billy si guardano e io mi faccio n'altro bicchiere. E quanto è buono 'sto filetto.

"Lo squallore delle chiacchiere da serva ha confini che si modificano continuamente figliolo". Zio Billy assume adesso un atteggiamento cardinalizio mentre guardando Cungo porta alla bocca le patate saltate in padella che so' proprio 'na goduria infatti lo imito seduta stante, ma senza atteggiamento ecclesiastico.

"Insomma arriva capodanno e devo faticare non poco per convincere Angiolino a prendervi parte mentre Vitina pure non vorrebbe partecipare però sua figlia ambisce a lavorare con il Porusso sicché lo squallore assume contorni sempre più ambigui ed indefiniti.
           La festa è tutto 'na celebrazione delle leccornie preparate dalla ladroccola per cui  i tre differenti ristoranti che hanno preparato chi i puparuli cruschi chi le tartine e chi il pesce non possono godere della meritata pubblicità.
            Arriva il momento del brindisi, auguri a tutti tutti, viva viva".

           Sopraggiunge il nostro magnifico ospite, Elio Coluzzi, che ci chiede se gradiremmo il dolce e Cungo, interrotto, esclama "Ovvio, ma fra un po'. La prego sieda con noi".

            La signorilità di Elio gl'impone di guardare Procopio il quale lo tocca gentilmente sull'avambraccio e gli dice "Ti prego, accomodati e fatti portare un bicchiere".

"Vi ringrazio, Valerio portami un rhum, per favore". E il Signor Coluzzi s'aggrega alla comitiva ma non ci priva dell'Amarone di cui Valerio porta l'ennesima bottiglia.

"E' dopo il brindisi ci so' stati pure  i fuochi. E dopo i fuochi è cominciata a piovere la merda!
          Urla, fuggi fuggi. Urla, al ladro al ladro. Un parapiglia. Tremante e in lacrime una signora non propriamente tale inizia a lamentare la sparizione d'un preziosissimo cappello di visone.
           Apriti cielo.
          'Stu cazzone di Porusso invece di invitare alla calma e minimizzare l'accaduto, di per sé già infinitamente squallido, decide di giocare al Tenente Colombo. Essendo Colombo intelligente assai il gioco a Porusso non riesce affatto. Gli riesce invece, simpatia a parte, di trasformarsi in un perfetto Clouseau.
          E attacca 'na filippica e io sono un signore e io sono a casa mia e a casa mia non possono sparire i cappelli di visone perché i cappelli di visone non tengono le gambe e guai  e strali  e mai sia.
          E io commetto ancora un errore. Cerco di spiegargli che è impossibile, che prima o poi 'sto chiappa di cappello salterà fuori. Ma quello è un treno in corsa. E io ci dico di calmarsi e soprattutto ci spiego che è offensivo pensare che qualcuno degli invitati possa essersi deliberatamente appropriato di 'sto chiappa di cappello il cui valore è decisamente relativo.
           L'apocalisse! Cungo ma che cazzo dici! Cungo allora se tu ti ritieni offeso vuol dire che tieni la coda di paglia! Ma stiamo scherzando e piffete e paffete e poffete e puffete mi scassa i coglioni co' tre ore di predica al termine della quale mi dice senza mezzi termini che, essendo già andati via Angiolino e Vitina, vuol dire che so' stati loro.
            Siccome io sono un cazzone ho ben pensato di dirgli ma come ti permetti e siccome quello Porusso è proprio un genio m'ha detto allora che io ero complice. Indeciso sul dove appoggiargli la mia mano aperta sulla guancia sul naso o precisa sopra ai coglioni me ne sono andato e da allora non l'ho più cacato".

              Agli applausi scroscianti si unisce anche Elio.

"Roba da serve, ma ho una curiosità".
"Dimmi Procopio".
"Perché hai mal salutato allora Angiolino e Vitina, anche loro sono accusati del furto, perché?"
"Perché 'sti due deficienti si fanno le vacanze assieme a sifoncino e Ah!"

             Gli applausi ora sono a scena aperta. Procopio leva le braccia al cielo. Zio Billy decide di dire la sua...
"Cungo bello, due cose. La prima, si percepisce sia che volevi davvero bene ad entrambi e sia che la faccenda ti ha infastidito oltremodo. Il tutto ti fa onore.
La seconda, non hai perso nulla fidati. E' tanto elementare e banale quanto triste e vero. Gente di infimo rango e di suprema inconsistenza lascia fare".

          Procopio dice a Isuccio di chiamargli il Ministro della Sanità che ora è all'altro capo del telefono con il balbuziente in carrozzella:
"...sì sì caro, ascolta Verrolla aspetta un figlio controlla le analisi di Porrusso e di Angiolino Fintone abbiamo bisogno di sapere chi è il pa pa papadre, subito!".

           Isuccio balza in piedi e agita la mano con due dita chiuse davanti a Procopio che annuisce.
"Dunque, amici cari. Si accettano scommesse su chi è il padre ma giustamente Isuccio suggerisce che potrebbe trattarsi d'un terzo incomodo...".

                Lo stadio crolla, e da C'era una volta si mangia e beve da Dio!




sabato 2 febbraio 2013

... E so' due!




Lancieri, con poche sapienti pennellate, ci accompagna in una estemporanea e disincantata passeggiata nel giardino mal tenuto dei tempi nostri, tra gli arbusti corrotti e i fiori della violenza, le erbacce del malaffare e le pozzanghere della maldicenza, i frutti dell’indifferenza e le fontane abbandonate del rispetto per le diversità ed i più deboli, mentre immobili e   impotenti i valori positivi assistono, relegati in una panchina, al disgregarsi della nostra società. 


“Stay hungry, stay foolish”
Steve Jobs

“Statev’ accuort’, assai accuort’ sentite a me!”
Zio Billy

Già, e poi c’è zio Billy, diversamente settantasettenne. Diversamente zio, diversamente playboy, diversamente ironico, diversamente malinconico, diversamente elegante, diversamente burlone ma assolutamente affascinante. E con zio Billy c’è tutta una serie di personaggi tanto improbabili quanto irresistibili, dal miliardario balbuziente in carrozzella, Procopio Alvaro Lipparella, ad Isuccio, il muto suo “telecomando” tuttofare, a Cungo, duecentotre centimetri per centoventuno chili, e poi il piccolo Billy,  nonna Vittoria, centotre anni e centotrenta centimetri, tata Maddalena,  la cana, Vittoria piccola,  Sifoncino con la moglie Ah,  insomma c’era una volta...e che ve lo racconto a fare.


Luca Lancieri è nato nel 1965 a Potenza dove vive. E Che Ve Lo Dico A Fare (2011) è il suo romanzo d’esordio. Non è su facebook .